Il patrimonio come terapia per il benessere
Nel caos della vita quotidiana, sembra che tutto si muova a una velocità vertiginosa.
Anche durante i nostri viaggi, ci troviamo immersi in questa frenetica corsa: visitiamo musei, attraversiamo velocemente parchi e esploriamo luoghi storici senza davvero assaporarne l’essenza.
Il tempo ci sfugge tra le dita, e mentre il nostro corpo è presente, la nostra mente è già proiettata verso la prossima attrazione.
Il nostro patrimonio culturale, intriso di storia e significato, costituisce un prezioso strumento per la nostra crescita personale.
Tuttavia, questa non è un processo automatico che si attiva con un fugace sguardo o una semplice visita.
Questo articolo esplorerà il motivo per cui la corsa frenetica attraverso i luoghi del patrimonio non solo ci priva di un’esperienza completa, ma impedisce anche di sfruttare appieno ciò che questi luoghi hanno da offrire.
Scopriremo come possiamo invertire questa tendenza, rallentare il passo e cogliere appieno l’opportunità di crescita personale offerta dal nostro patrimonio culturale.
In Italia, si parla sempre di tutela e valorizzazione.
La tutela può essere considerata come il contenitore, mentre la valorizzazione come il contenuto.
Purtroppo, per noi, la valorizzazione, che dovrebbe essere uno strumento attivo per raccontare come gli oggetti ritrovati, i monumenti o i resti delle città antiche, possano arricchire la nostra quotidianità e migliorare la nostra salute, è – sorprendentemente – utilizzata per raccontare, invece, i progetti di tutela con le gesta dettagliate degli archeologi e/o degli storici dell’arte.
Questo, unito a didascalie discutibili ed elucubrazioni infinite sugli eventi storici, porta a un appiattimento svilente del valore del patrimonio culturale e la sua banalizzazione.
Per chi si trova a subire passivamente il patrimonio culturale, senza le competenze per comprenderlo, tradurlo o interpretarne i contenuti (perché magari nella vita fa tutt’altro) l’esperienza può essere simile a quella vissuta da Alberto Sordi e Anna Longhi alla Biennale di Venezia del 1978. Nella divertente e geniale scena del film “Dove vai in vacanza?”, i protagonisti si ritrovano immersi in esposizioni, tentando interpretazioni personali in un contesto che sfugge alla loro comprensione.
Chi gestisce il nostro patrimonio culturale?
Se vediamo il patrimonio culturale come una medicina per la mente, allora i custodi del patrimonio dovrebbero agire come medici, concentrandosi sull’efficacia del “benessere culturale” offerto ai cittadini.
Al contrario, molti gestori del patrimonio si collocano costantemente al centro dell’attenzione, quasi considerandosi essi stessi come i beni culturali da “proteggere e valorizzare”, evidenziando i propri successi personali, pubblicazioni e scoperte.
È un po’ come andare dal dentista per una carie da curare: arriviamo doloranti e speranzosi di risolvere il problema, ma lui ci parla solo delle sue ricerche e pubblicazioni e alla fine ci presenta anche la ricevuta da pagare!
Abbiamo regolato il conto, ma fuori dallo studio ci ritroviamo con una carie ancora tra i denti.
Sarebbe inaccettabile, non credi?
Eppure, è esattamente così che ci comportiamo nei luoghi del patrimonio, quando viaggiamo, quando entriamo nei musei. Non sappiamo riconoscere cosa dovremmo ricevere in cambio: insomma, cosa dovremmo pretendere da cittadini e cosa dovremmo portarci a casa, quale risultato, perché siamo lì e non in un’enoteca.
La grande illusione: credere che lo sguardo sia sufficiente
Molti pensano che basti visitare un luogo o un museo per comprendere e apprezzare il patrimonio, contribuendo così a una maggiore cultura. Non è così!
Inoltre, l’idea che l’arte debba essere accessibile a tutti, aperta a un vasto pubblico, potrebbe erroneamente suggerire che la sua comprensione non richieda uno sforzo particolare, quasi fosse automatica e che l’ostacolo più grande in realtà è proprio l’apertura fisica del luogo. Ma anche questo è falso.
La realtà è che l’accessibilità al patrimonio culturale è un’illusione: un luogo diventa veramente accessibile quando offre un’esperienza che va oltre la semplice esposizione dei manufatti ed elencazione di informazioni, fornendo più punti di vista e una riflessione evolutiva e trasformativa.
I musei d’arte si concentrano principalmente su informazioni storico-artistiche, mentre i musei archeologici si focalizzano su informazioni storico-archeologiche, così come i parchi archeologici e istituti simili.
In questo contesto, la storia degli studi è la protagonista principale: chi ha scoperto cosa, le pubblicazioni degli studiosi, chi si è dedicato all’organizzazione della musealizzazione, e così via.
I gestori del patrimonio cercano in tutti i modi di farci sapere che il merito dell’apertura al pubblico di un luogo o della gestione di un museo è dovuto a loro.
Ecco perché, quando il FAI apre un luogo che normalmente non sarebbe accessibile, molti lo sostengono, anche se questo danneggia il settore culturale perché si basa sul lavoro gratuito dei volontari.
La vera delusione è spendere denaro per visitare un luogo e non portarsi a casa un’esperienza trasformativa.
Perché se la narrativa verte sull’apertura, sull’accessibilità, sulle difficoltà, sulla “bravura” dei gestori, sulle informazioni esclusivamente artistiche o archeologiche, allora sappi che da quelle visite non ti sei portato via nulla. Mi spiego meglio.
La vera valorizzazione è quella che attiva il patrimonio culturale.
Questa attivazione non avviene attraverso la comprensione della tecnica pittorica o delle proporzioni di una statua classica o di un tempio.
Gli operatori del patrimonio si limitano a discorsi focalizzati su una o al massimo due discipline, come arte e storia o archeologia e storia, trascurando altre discipline cruciali legate al patrimonio culturale, come l’antropologia.
Vengono spesso ignorati anche i motivi che hanno spinto i committenti a creare un’opera d’arte o un monumento, così come la sua rilevanza nella società in cui è stato concepito ma anche nella nostra contemporaneità.
Dovremmo insistere affinché emerga la complessità del luogo o dell’oggetto, mostrando non solo un punto di vista. La comprensione del patrimonio culturale richiede di tener conto della sua funzione sociale, politica ed economica, oltre che artistica.
Sebbene l’arte sia meritevole di attenzione, non può viaggiare da sola; deve mescolarsi a tutto il resto e non dovrebbe mai essere il punto di partenza.
⚙️ Solo l’intreccio di tutti i dati disponibili può condurre a una riflessione critica e attiva sul passato nel nostro presente, fornendoci una base di consapevolezza necessaria per la creazione di qualcosa di significativo nel nostro futuro.
Cosa richiede da parte nostra la visita in un luogo del patrimonio?
Visitare un luogo d’arte o un monumento richiede da parte nostra un impegno significativo, una profonda curiosità e apertura mentale per scoprire qualcosa che possa arricchire la nostra comprensione e la nostra crescita personale.
Non possiamo aspettarci che il semplice sguardo di un quadro, di un monumento o di un luogo sia sufficiente, né che le informazioni fornite nelle guide o nei pannelli espositivi degli istituti culturali siano davvero trasformative (e di questo – per esempio – dovremmo cominciare a lamentarci).
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Una risposta a “Il patrimonio come terapia per il benessere”
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