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🕵 Sir Arthur Evans e la Sala del Trono a Cnosso

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Creta, sin dall’antichità, è stata avvolta da un misterioso velo di leggende e miti che l’hanno resa una terra unica nell’immaginario collettivo. Tra tutte queste affascinanti storie spicca quella delle grotte sacre, l’Antro Ditteo e l’Antro Ideo, considerate il luogo di nascita e crescita di Zeus, allattato e protetto dalla ninfa Amaltea, e il mito di Minosse e del suo leggendario labirinto.

Questa narrativa mitologica, intessuta di elementi come la disobbedienza divina, la punizione degli dèi, l’amore proibito e il coraggio eroico, costituisce un pilastro fondamentale dell’antica mitologia greca. Tuttavia, oltre a essere una leggenda, il mito di Creta riflette la complessità sia del luogo fisico che della metafora culturale che essa rappresenta.

Il protagonista di questa storia mitologica è il re Minosse, il quale ha una genealogia altrettanto interessante. Figlio di Zeus e della principessa fenicia Europa, Minosse trae le sue radici da un’interessante unione culturale. La storia di Europa figlia di Agenore, re di Tiro (città fenicia nell’attuale Libano), e sorella di Cadmo, famoso per la fondazione della città greca di Tebe, offre un interessante legame tra culture diverse.

Il mito racconta che Zeus si innamorò perdutamente di Europa mentre questa passeggiava lungo la spiaggia fenicia con le sue ancelle. Per conquistarla, Zeus assunse le sembianze di un imponente toro bianco, rapendo Europa e portandola sull’isola di Creta. Questo episodio sottolinea il ruolo centrale di Creta come ponte tra il mondo greco e quello fenicio, due delle culture più influenti dell’antichità.

Durante il loro soggiorno a Creta, Europa diede alla luce tre figli di Zeus: Minosse, Radamanto e Sarpedone, ognuno dei quali avrebbe influenzato in modo significativo la mitologia cretese. In particolare, Minosse, il primogenito, sarebbe stato destinato a diventare il re di Creta e il protagonista del celebre mito del labirinto del Minotauro.

Dopo la sua ascesa al trono di Creta, Minosse ricevette in dono un magnifico toro bianco da parte di Poseidone. Tuttavia, Minosse scelse di non sacrificare questo toro al dio, ma decise di inserirlo nel suo gregge. Questa decisione, apparentemente insignificante, avrebbe avuto conseguenze devastanti, dando inizio a una catena di eventi che avrebbero plasmato il destino di Creta.

Pasifae, la moglie di Minosse, si innamorò del toro bianco e, lasciandosi trasportare dalle sue passioni, rimase incinta dando poi alla luce il Minotauro, una creatura con corpo umano e la testa di toro.

Dalla nascita del Minotauro si entra nella fase successiva: la costruzione del labirinto. Perché?

Minosse decise di far costruire un labirinto in cui intrappolarvi il Minotauro per proteggere il suo popolo dalla minaccia rappresentata da quell’ibrido e per mantenerne segreta l’esistenza. Così facendo, Minosse espiò la sua disobbedienza nei confronti di Poseidone.
Il labirinto diventò quindi una prigione intricata e impossibile da evitare per la creatura ibrida.

La nascita del Minotauro e la sua esistenza furono un segreto oscuro per la famiglia reale di Creta e per il regno di Minosse, in quanto poteva danneggiare la reputazione di Minosse e della sua dinastia. Fu allora che entrò in scena il famosissimo Dedalo, l’abile artigiano e architetto, che fu incaricato di realizzare il labirinto sotto il palazzo di Minosse; palazzo che si ritiene essere proprio quello di Cnosso.

Ciò che sappiamo del labirinto è che era intricato al punto da perdercisi dentro, senza l’aiuto del suo costruttore.

La complessità della storia delle origini di Creta si riflette nella figura di Minosse e nel labirinto stesso. Non è un caso che il grande palazzo di Cnosso sia stato descritto dagli studiosi – e abbia assunto come aggettivo predominante – proprio “labirintico”!

Minosse si presenta come un personaggio dai tratti ambivalenti, oscillando tra la saggezza attribuitagli per il suo ruolo di grande legislatore e la crudeltà alimentata dal fervente desiderio di preservare a ogni costo il segreto della nascita del Minotauro, eliminando chiunque potesse costituire una minaccia. Periodicamente, inviava giovani ateniesi nel labirinto, dove il Minotauro li attendeva per compiere il suo atroce destino.

Questa pratica crudele persistette fino all’arrivo di Teseo, l’eroe ateniese che si offrì volontario per affrontare la terribile creatura. Lui riuscì a sconfiggere il Minotauro e a condurre in salvo gli altri giovani ateniesi con l’aiuto di Arianna, la figlia di Minosse, che gli fornì un filo magico per trovare l’uscita.

 Se oggi osserviamo il Palazzo di Cnosso in pianta, non possiamo fare a meno di notare la sua complessità data dalla disposizione intricata di ambienti stretti, vicini, con doppi ingressi, circuiti e percorsi che rivelano alcuni ambienti mentre ne oscurano altri.

Il palazzo di Cnosso è stato scoperto nel 1900 da Arthur Evans ma l’isola di Creta ha restituito almeno altri 4 palazzi simili nella composizione architettonica. Gli studiosi, nel corso degli anni, hanno avuto modo di sollevare questioni, interrogativi e interpretazioni che hanno contribuito a ricomporre il mosaico della storia della civiltà minoica. La cosa interessante è che Arthur Evans non aveva la benché minima idea di stare per scoprire una civiltà sconosciuta.

Conoscerai sicuramente Heinrich Schliemann: un giovane cresciuto a pane e poemi omerici, che si convince di dover scoprire dove ebbe luogo la leggendaria guerra di Troia (di cui parleremo nel testo dedicato al sigillo ritrovato nella tomba del Guerriero a Pylos). Schliemann è noto per aver scoperto non solo la città di Troia, ma anche le celebri maschere funerarie micenee, la maestosa Porta dei Leoni e le tombe micenee a Micene.

Museo Archeologico Nazionale di Atene. Grecia.

Devi sapere che, nel corso della storia, l’umanità ha sempre tratto ispirazione da opere letterarie e leggende che hanno plasmato la sua immaginazione. Uno degli autori che ha esercitato un’influenza indelebile sulla percezione del mondo antico è Omero, noto per i suoi epici poemi l’Iliade e l’Odissea. Queste opere narrano di eroi, guerre e città perdute, tra le quali emerge anche Creta, “l’isola ricca e bella circondata dal mare”.

Questo territorio affascinante ha catturato l’attenzione di generazioni di studiosi e avventurieri, ma è stata la scoperta di Heinrich Schliemann a Troia nel 1870 e a Micene nel 1874 a cambiare il corso degli studi archeologici e storici. I veri e propri tesori di Micene in particolare hanno sconvolto le conoscenze sull’antichità, rivelando una civiltà preistorica straordinariamente ricca ed evoluta, il cui mondo sembrava identificabile con quello di Omero.

La domanda che gli archeologi del tempo si posero fu la seguente: se le leggende antiche trovano riscontro a Troia e Micene, perché non dovrebbe essere altrettanto per Creta? Del resto, pensavano questi archeologi, Omero stesso ci fornisce un indizio prezioso nel suo racconto dell’Odissea, menzionando le “90 città dell’isola” [di Creta].

Le scoperte di Troia e Micene hanno sollevato l’importante questione dell’origine del mondo miceneo e mentre alcuni studiosi suggerivano collegamenti con la Fenicia o l’Egitto, altri immaginavano un’influenza proveniente dall’Europa settentrionale.

Una minoranza, tuttavia, si orientava verso l’Egeo e, più specificamente, verso Creta. Da quel momento, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sull’isola di Zeus, aprendo la strada a una nuova era di scoperte archeologiche.

Dunque, a partire dalla fine dell’Ottocento a Creta si moltiplicarono gli scavi e le scoperte. Questa febbrile caccia ai reperti coinvolse studiosi provenienti da tutte le nazioni europee e in particolare un inglese: Sir Arthur Evans, il quale guidò una ricerca personale che si trasformò in un’avventura scientifica e romantica allo stesso tempo.

Nel corso di questa straordinaria avventura archeologica, emersero gli elementi che ricordavano le atmosfere dei romanzi d’avventura dell’epoca: città dimenticate riaffiorate dall’oblio, leggende resuscitate e tesori nascosti.

E infatti, come vedremo, le figure dei Grifoni nella sala del trono e le statuine di maiolica rinvenute in un deposito sigillato fecero rivivere un mondo inaspettato e sconosciuto. Possiamo solo immaginare l’emozione che Evans dovette provare nel momento in cui si trovò di fronte a oggetti di tale portata, antichità e importanza.

Tuttavia, poiché questo non è un testo di una guida turistica, ma un testo della guida di viaggio IterPopuli, il mio intento non è presentare una visione idealizzata e positiva di tutto. Invece, è opportuno offrire una breve descrizione di chi fosse questo giovane inglese.

Arthur Evans è stato un ricco inglese archeologo (non nell’accezione contemporanea) che ha attraversato le terre d’Europa con un’anima inquieta e uno spirito ribelle. Nato in una famiglia ricchissima nel 1851, aveva avuto accesso al mondo dell’antiquaria fin dall’infanzia, grazie a suo padre Sir John Evans, un esperto di oggetti antichi in pietra e monete greche e romane. La sua giovinezza fu segnata da viaggi avventurosi e dalla passione per l’archeologia che coltivava durante le sue estati in giro per l’Europa.

Era un’anima romantica che amava sfuggire al presente per immergersi nel passato. Viaggiò in luoghi remoti, esplorando la Finlandia, la Lapponia, la Bosnia, l’Albania e le terre dell’Europa centrale e meridionale. Durante questi viaggi, raccolse oggetti antichi e condivise storie delle popolazioni locali. Era un appassionato studioso dell’etnologia e dell’archeologia di queste regioni.

Il suo spirito ribelle lo portò a diventare un corrispondente ufficiale del Manchester Guardian, per il quale scrisse articoli appassionati sulla politica dell’Europa centrale. La sua voce si alzò in difesa delle minoranze nazionali che cercavano la libertà dalle potenze ottomane, e si fece promotore di aiuti umanitari per le popolazioni vittime delle ingiustizie.

Tuttavia, la sua passione per l’archeologia era irrefrenabile. Rientrato in Inghilterra, divenne il custode dell’Asmolean Museum di Oxford, un incarico che mantenne per 25 anni. In quel periodo, riorganizzò l’esposizione del museo e acquisì numerosi reperti. Ma il suo cuore lo portava sempre nel Mediterraneo, alla ricerca di oggetti antichi.

Fu durante questa fase che Arthur si imbatté nei misteriosi sigilli e gemme che lo avrebbero condotto a una delle scoperte più straordinarie della storia dell’archeologia. Scoprì che i Micenei possedevano una loro scrittura, e questo lo spinse a indagare ulteriormente. La sua ricerca lo portò al mercato di Atene, dove cominciò a collezionare sigilli incisi, spesso provenienti da Creta.

Nel 1894, seguendo le tracce archeologiche, Arthur Evans giunse a Creta, dove avrebbe compiuto una scoperta che non sapeva ancora essere epocale: il palazzo di Cnosso. Questo accadde in un momento cruciale della storia dell’isola poiché la dominazione turca, che aveva governato e oppresso l’isola per secoli, stava cedendo il passo a una ribellione degli isolani.

In questo contesto, Evans svolse un ruolo di primaria importanza nell’assistenza ai ribelli, fornendo provviste e medicinali a proprie spese. In cambio del suo sostegno, il principe Giorgio, il nuovo sovrano di Creta, gli concesse il permesso di iniziare gli scavi a Cnosso nel marzo del 1900.

Per poter effettuare gli scavi, Evans dovette avviare una serie di complessi negoziati che si conclusero con l’acquisto di Cnosso. Sì, hai capito bene. Evans acquistò l’intera area e divenne il proprietario di quella terra che presto avrebbe restituito i resti di un’antica civiltà ancora sconosciuta. Fin da subito, Evans fu fermamente convinto che ciò che si trovava in quell’area avesse una storia straordinaria da raccontare e, di conseguenza, decise di dedicare tutta la sua vita a studiarla con dedizione.

Per raggiungere questo obiettivo, fu ovviamente necessario essere fisicamente a Cnosso, coordinare una serie di attività sul posto, organizzare un team di specialisti e manodopera, oltre ad avviare gli scavi e la pulizia delle aree con lo spostamento di enormi quantità di terra che si erano accumulati nel corso dei secoli. Tutto ciò comportò costi considerevoli.

E infatti, un’altra notizia sorprendente è che Arthur si autofinanziò e non dipese mai da finanziamenti pubblici, ma solo dal padre, il quale godeva di una situazione finanziaria agiatissima. Questo aspetto potrebbe farlo sembrare un “figlio di papà,” e tale percezione potrebbe non essere del tutto sbagliata, considerando che stiamo parlando di un progetto costosissimo che assunse fino a 300 operai e una grande squadra di professionisti del settore, i quali dovevano essere adeguatamente retribuiti per il loro lavoro. In un contesto in cui la ricerca archeologica richiedeva notevoli risorse finanziarie, il sostegno economico del padre di Evans è da considerare un privilegio.

Se ci pensi, il principio è lo stesso nella società moderna: il successo in molti campi, inclusi progetti di ricerca scientifica, iniziative imprenditoriali e persino accesso a istruzione e formazione di alto livello, spesso dipende dalle risorse finanziarie a disposizione di un individuo. Se una persona ha la fortuna di provenire da una famiglia benestante o ha accesso a risorse finanziarie considerevoli, può investire per perseguire le proprie ambizioni. Al contrario, purtroppo, individui con grande potenziale ma privi di risorse finanziarie possono trovarsi in una situazione svantaggiata. 

La storia di Arthur ci offre un’interessante prospettiva sulla trasformazione dell’archeologia e sulla necessità di condividere la conoscenza nel contesto della ricerca scientifica contemporanea.

Per darti un’idea chiara del livello di ambizione, convinzione e arroganza di Arthur Evans, ti sarà utile sapere che nel novembre 1900, 8 mesi dopo la scoperta della sala del trono (e puoi immaginare quanto si sentisse speciale, importante e unico), scrisse al padre queste parole: “Il palazzo di Cnosso è una mia idea, una mia impresa, sono fermamente deciso a non condividerla con altri, e ho molte ragioni per questa scelta, ma soprattutto perché solo io devo avere il controllo di ciò che intraprendo.”

Questa affermazione rivela il suo forte senso di proprietà, dipendenza e controllo riguardo al palazzo di Cnosso.

Ma questo atteggiamento, sebbene possa sembrare eccessivamente arrogante, va considerato nel contesto dell’epoca. Evans era un uomo del suo tempo, e il suo modo di fare archeologia rifletteva le consuetudini dell’era vittoriana. L’area del palazzo di Cnosso era stata acquistata grazie ai fondi del padre e giustamente la considerava una sua “proprietà”; un approccio che oggi apparirebbe inaccettabile.

L’archeologia contemporanea ha subito una profonda evoluzione. Non è più dominata da singoli individui alla ricerca di civiltà perdute narrate nei grandi testi epici, a cui, peraltro, va la nostra riconoscenza.

Oggi, l’archeologia si presenta come un vasto ecosistema interdisciplinare basato sulla condivisione dei dati e sull’apertura al mondo esterno. Si formano squadre di ricercatori, gruppi di lavoro e si trovano professori e professionisti del settore che condividono il loro sapere con gli studenti. Nessun archeologo professionista considererebbe l’idea di acquistare aree di interesse storico-archeologico, come fece Arthur Evans a Cnosso nel 1900.

Questo perché, da un lato, ciò costituirebbe un reato contravvenendo alle leggi vigenti e, dall’altro, perché il concetto stesso di patrimonio storico e archeologico è strettamente legato all’intera comunità, appartiene a tutti noi. Pertanto, il concetto di patrimonio condiviso è al centro dell’archeologia contemporanea.

La ricerca ha senso solo se è interdisciplinare e se i risultati sono condivisi con altri ricercatori, università e istituzioni. Questa condivisione è fondamentale per avanzare nella comprensione delle scoperte scientifiche e per evitare protagonismi che potrebbero ostacolare il progresso nella conoscenza. Oggi la ricerca scientifica è guidata dai principi di collaborazione, condivisione e apertura.

Il 23 marzo 1900 è il giorno in cui Evans diede inizio a una campagna archeologica della durata di 6 anni: sebbene sei anni possano sembrare un periodo considerevole, in realtà, per uno scavo di tale portata, rappresentano un tempo incredibilmente breve.

Durante questo periodo, Evans non si limitò a scavare il palazzo di Cnosso, ma estese le sue ricerche anche a una vasta area circostante, portando alla luce una strada, un piccolo palazzo, una villa reale non lontano da quello di Cnosso, parti del cimitero e un importante tempio.

Tutto ciò richiese una forza lavoro imponente, composta da spalatori, zappatori, carpentieri, muratori e addetti al lavaggio dei reperti. In cantiere, tra 50 e 300 operai lavoravano per 15-20 settimane all’anno. Un aspetto notevole di questa impresa fu la composizione eclettica della squadra di lavoro.

Evans reclutò sia cristiani che musulmani, cercando così di promuovere l’intesa tra le popolazioni.

Come già detto, finanziare una simile impresa richiedeva risorse considerevoli e Evans non ricevette nessun sostegno dal governo britannico. I fondi erano interamente privati. La parte essenziale dei finanziamenti proveniva dal patrimonio suo e di suo padre che riceveva telegrammi dall’entusiasta figlio chiedendo fondi per proseguire le ricerche. Questa situazione irritò alcuni accademici, ma rese Arthur completamente autonomo dalle istituzioni. 

Benché fosse dotato di una vasta conoscenza in campo archeologico e sulla storia dei reperti, Evans non aveva esperienza pratica nel condurre scavi di tale portata e pertanto assunse studiosi altamente specializzati. Per garantire la validità scientifica delle operazioni, poi, si avvalse di collaboratori esperti. L’architetto Theodore Fyfe e il ceramologo Duncan McKenzie svolsero ruoli cruciali. Questa squadra di lavoro fu decisiva per il successo degli scavi.

Per ricostruire gli affreschi di Cnosso, Evans collaborò con il grande artista svizzero Émile Gilliéron, che aveva anche esperienza nel decifrare le iscrizioni antiche. Sorprendentemente, notarono che i dipinti murali ritraevano soprattutto scene di vita quotidiana, come la raccolta dello zafferano e i giochi con i tori.

Arthur compilò una scrupolosa documentazione degli scavi, inclusi diari, schizzi, rilievi e fotografie, costituendo un nuovo modello di precisione; applicò la stratigrafia, conservò campioni, esaminò il contenuto dei vasi per determinarne la natura, e con attenzione selezionò i reperti più fragili.

Gli scavi di Cnosso furono tra i primi condotti con metodi scientifici in Grecia e segnarono una svolta nella storia degli scavi archeologici nel paese. Vantando questa precisione, spiccarono su quelli condotti da Heinrich Schliemann a Troia e a Micene.

Nel marzo del 1900, i primi colpi di piccone di Evans fecero emergere la Sala del Trono, adornata con affreschi raffiguranti Grifoni incoronati di piume e fiori di papiro stilizzati.   Man mano che gli scavi procedevano, la sua squadra cresceva costantemente, coinvolgendo fino a 300 operai che rimuovevano la terra stratificata e ripulivano le stanze del palazzo.

Ben presto, il sito si trasformò in un intricato labirinto di stanze, passaggi e fondamenta. Ma allo stesso tempo, Arthur notò immediatamente che Cnosso non aveva nulla né di greco né di romano; dunque, quella che lui si trovò davanti era il risultato della produzione di una civiltà ben più antica.

Nello stesso anno, emerse un magnifico muro dipinto raffigurante due coppieri, un elemento che avrebbe catturato l’attenzione del mondo e annunciato la scoperta dell’antica civiltà minoica di Creta.

Nel 1901, Evans portò alla luce l’affresco della tauromachia, attività che sembra trovare una eco nei giochi romani e nei sacrifici dei giovani ateniesi al Minotauro, nonché nella corrida spagnola.

Ma l’elemento più spettacolare fu la grande scalinata dell’ala est, conservata su tre rampe sovrapposte. La costruzione richiese il lavoro di minatori esperti, giunti da Lavrion.

Tra le scoperte spiccano anche le celebri tavolette di argilla rinvenute a Cnosso, inclusa la collezione conservata nella “Room of Chariot Tablets,” le quali sono pervenute sino a noi grazie a incendi in tempi antichi.

Tali incendi, apparentemente distruttivi, hanno avuto l’effetto di cuocere e indurire le tavolette di argilla, preservandole nel corso del tempo. In sostanza, il fuoco ha trasformato l’argilla cruda in terracotta, conferendo alle tavolette una resistenza straordinaria all’usura e al deterioramento.

La tavoletta di argilla KN Fp 13, datata 1450-1375 a.C., è minoica e fu trovata a Cnosso da Arthur Evans. Registra, in greco scritto in lineare B, quantità di olio apparentemente offerte a varie divinità.

È grazie a questo fenomeno che documenti e testi si son conservati permettendoci di conoscere la civiltà minoica in modo più completo e dettagliato.

Questi documenti preziosi erano incisi sia in quella che successivamente sarebbe stata denominata “scrittura lineare B,” la lingua dei micenei, sia in scrittura geroglifica e lineare A, strettamente correlate alla civiltà minoica, di cui però Arthur era ancora all’oscuro.

Di fatto, il palazzo di Cnosso si rivelò il principale sito di ritrovamento dei documenti d’archivio in scrittura lineare B. Fin da subito, Evans sostenne con convinzione che questi documenti costituissero gli archivi del regno, contenenti leggi, corrispondenze, contratti, sentenze ed inventari, e la storia ha dimostrato che aveva ragione.

Se a lui dobbiamo la scoperta di diverse migliaia di questi testi, è importante notare anche che Evans, seguendo le pratiche archeologiche dell’epoca, conservò solo i testi che ha ritenuto particolarmente interessanti, ignorandone molti altri.

L’archeologia è una disciplina in continua evoluzione, e le metodologie e le priorità possono cambiare nel corso del tempo. Purtroppo, nel corso degli anni, molti frammenti di tavolette sono stati dispersi.

Grazie a successive ricerche condotte da diverse università e istituzioni di tutto il mondo, alcuni di questi frammenti sono stati recuperati, altri, purtroppo, mantengono danni irrimediabili.

Gli scavi di Arthur portarono alla luce anche 18 magazzini del palazzo, alcuni contenenti enormi vasi di stoccaggio ancora oggi ben osservabili nel sito archeologico. Evans scoprì persino dei fagioli in uno di questi.

Il 1903 fu un altro anno di interessanti scoperte, con due fossati nell’ala ovest contenenti oro, avorio, cristallo e la celebre “dea dei serpenti”. Questa statuetta è stata poi riconosciuta come una rappresentazione della dea minoica e fu scoperta insieme agli arredi di culto di un tempio, offrendo preziose informazioni sulla religione minoica.

Insomma, in quegli anni gli scavi continuarono potando alla luce centinaia di vasi, frammenti di affreschi e altri reperti, rendendo così Cnosso uno dei siti archeologici più prolifici del secolo, tanto che Evans e i visitatori del sito non poterono fare a meno di paragonarlo a Pompei. Le immagini che seguono raffigurano degli affreschi e un trono che suscitarono alcuni interrogativi.

Archivio fotografico. 1922.

La sala del trono dopo il restauro.

Chi occupava quel trono? Era un re o una regina? La mascolinità delle maschere rinvenute da Schliemann a Micene suggerì a Evans l’immagine di un re, circondato da un consiglio. Inizialmente, infatti Evans credeva che il palazzo fosse di origine micenea e che avesse contribuito alla conoscenza della Creta raccontata da Omero. Pertanto, attribuì alla sala del trono un’accezione regale, in linea con la tradizione micenea.

Museo Archeologico Nazionale di Atene. Grecia.

Ma la situazione si rivelò molto diversa. Ben presto dovette ricredersi: quello che aveva scoperto e ora aveva di fronte apparteneva a una civiltà più antica di quella micenea che non era mai stata indagata prima di allora.

Prima di continuare, ti avverto che, come avrai notato dalle due diverse foto, Evans in quegli anni non si limitò a scavare, ma anche a restaurare. Nella Sala del Trono mise il tetto e ricostruì anche gli affreschi. Quando Evans iniziò gli scavi nel 1900, gran parte del sito era in uno stato di rovina, compresa la Sala del Trono. L’obiettivo era quello di preservare e stabilizzare le strutture rimaste e di renderle accessibili ai futuri visitatori. Questo includeva il ripristino di alcune parti del tetto e la ricostruzione di muri e colonne. Tuttavia, è importante notare che la ricostruzione effettuata da Evans non è stata una restaurazione accurata nel senso moderno, ma una interpretazione basata su sue idee e visioni della struttura originale. Alcuni studiosi e archeologi successivi hanno criticato questo approccio, poiché ha portato a una certa dose di speculazione nella ricostruzione.

Archivio fotografico. 1922.

La civiltà minoica prende il nome da Minosse. La tradizione e la storia minoica sono strettamente legate all’isola di Creta, dove si dice che Minosse abbia governato. Tuttavia, va notato che il termine “minoico” è stato coniato dagli archeologi moderni per riferirsi a questa civiltà e non è un termine con il quale gli abitanti dell’isola si identificavano.

La storia di Creta affonda le sue radici nel neolitico, seguito dall’età del rame, dall’età del bronzo e infine dall’età del ferro. La storia che sto per raccontarti si trova nel cuore dell’età del bronzo e copre un periodo compreso tra il 1900 a.C. al 1200 a.C. circa, durante il quale furono eretti i cosiddetti primi e secondi palazzi. Il periodo in questione è caratterizzato da un aumento della popolazione e da una migliore gestione delle risorse del territorio cretese. Le nuove comunità che si sono formate derivavano dall’espansione dei vecchi insediamenti.

Questa civiltà ha lasciato un’eredità di straordinaria rilevanza storica, di cui i palazzi minoici rappresentano il fulcro. Questi maestosi edifici non erano semplici residenze, bensì centri multifunzionali che svolgevano quattro principali ruoli: monumentali, religiosi e rituali, economico-amministrativi e residenziali.

I “Primi Palazzi” erano grandi complessi architettonici che comprendevano una varietà di strutture, tra cui magazzini, quartieri residenziali, cucine, scuderie e altro ancora. Essi erano situati nelle aree fertili del territorio cretese, dove le prime comunità minoiche si stabilirono in periodi precedenti, come a Cnosso, Mallia, Festo, nella pianura della Messara, ai piedi del monte Ida, presso La Canea e altrove.

Questi palazzi riflettevano un piano architettonico coerente ed erano progettati e costruiti con una finalità monumentale precisa: creare una memoria indelebile, capace di trasformare per sempre la percezione e il significato simbolico dello spazio per la comunità.

Sebbene ci fossero stratificazioni e sovrapposizioni, l’elemento fondamentale della monumentalità era quello che suscitava una profonda impressione visuale. Ogni palazzo presentava un cortile interno, caratterizzato da un colonnato a delimitare la Corte Centrale e gli ambienti dell’ala occidentale del palazzo fino alla facciata principale.

I Primi Palazzi rispondevano a tre principali funzioni: economica, politica e religiosa. Questi complessi erano al centro dell’attività economica della regione. I magazzini circostanti erano ampi e ben forniti, indicando che i responsabili dei palazzi gestivano la produzione agricola dell’intera zona. Prodotti come olio, vino, cereali e fichi, coltivati nella regione, venivano conservati nei magazzini appena costruiti. Questi complessi erano fondamentali per l’economia cretese dell’epoca.

La funzione economica-amministrativa dei palazzi minoici emerge chiaramente grazie al ritrovamento di grandi contenitori in ceramica, noti come silos, e alle tavolette in terracotta con scrittura, alcune delle quali presentano geroglifici minoici e altre scrittura lineare A o B.

Queste tavolette servivano per scopi di amministrazione e contabilità, registrando i beni all’interno del palazzo. Gli ambienti di stoccaggio, come le casse litiche affondate nel pavimento, definite caselles a Cnosso, erano presenti in tutte le parti dei palazzi e rappresentavano una componente chiave nella gestione e nel controllo delle risorse della comunità, sottoposti all’autorità centrale. Inoltre, le tavolette con scrittura lineare erano utilizzate per coordinare le attività di redistribuzione delle risorse.

I governanti dei palazzi esercitavano un’autorità effettiva sulla regione. Gli agricoltori, artigiani e operai dipendevano dalla protezione e dalle ricompense fornite dai governanti in cambio del loro lavoro. Dunque, il potere politico e il controllo economico erano strettamente interconnessi.

Anche la funzione religiosa all’interno dei Primi Palazzi rivestiva un ruolo di notevole importanza. In un’epoca in cui l’ignoto e il mistero dominavano la mente delle persone, coloro che affermavano di avere il potere di comunicare con gli dèi, interrogarli, interpretare i loro segni e chiedere il loro aiuto erano visti come figure di grande autorità. Questi individui, nel caso di Creta, erano probabilmente donne che si affermavano come leader spirituali.

Per garantirsi il controllo completo sulla popolazione, il potere emergente a Creta comprese l’importanza della dimensione religiosa. Pertanto, i “padroni” dei Primi Palazzi destinarono alcune parti delle loro strutture a santuari e luoghi di culto, stabilendo così il loro dominio anche sulla sfera religiosa. Ma la complessità delle funzioni cerimoniali, religiose e rituali all’interno dei palazzi minoici non si esaurisce qui.

Nell’area occidentale del palazzo minoico, dove si presume si svolgesse un rituale comune, sono state scoperte fosse di dimensioni considerevoli, conosciute come “Kouloura”.

Arthur Evans, il pioniere delle ricerche su questi pozzi, inizialmente ipotizzò che potessero trattarsi di pozzi per la raccolta dei rifiuti, a causa della mancanza di muri di cemento per prevenire infiltrazioni d’acqua.

Tuttavia, la teoria più ampiamente accettata suggerisce che i “Kouloura” fossero in realtà una sorta di granaio utilizzato per immagazzinare il surplus di raccolto. Questa idea si basa sul fatto che i regni durante il periodo minoico svilupparono gran parte della loro prosperità grazie alla capacità di immagazzinare, conservare e distribuire prodotti alimentari.

Inoltre, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che questi “Kouloura” potessero essere utilizzati solo temporaneamente per immagazzinare granaglie e altri prodotti legati all’agricoltura e alla sussistenza, in connessione con le danze rituali che sono ben documentate nell’affresco “Sacred Grove and Dance”.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta

L’emergere dei Primi Palazzi nella società minoica non solo ha segnato una gerarchizzazione sociale significativa, ma ha anche influenzato profondamente l’evoluzione dell’arte minoica.

Non vi è dubbio che alcuni individui nell’antica società minoica abbiano dimostrato intraprendenza, competenza e capacità tali da renderli fondamentali per la comunità. Queste persone sono diventate indispensabili grazie alla loro abilità nel dotare gli altri di strumenti di lavoro specializzati.

Ad esempio, l’importanza dell’ossidiana, una pietra vulcanica utilizzata per la produzione di lame, coltelli e asce che era ben nota nelle comunità più antiche. Lo stesso valeva per coloro che possedevano competenze speciali come la metallurgia.

L’intraprendenza di questi individui ha contribuito all’accrescimento di ricchezza e potere, il che si è tradotto nella costruzione di strutture architettoniche più grandi destinate a ospitare coloro che avevano assunto un ruolo di primo piano nella comunità. Furono proprio questi individui ad emergere per primi come leader e governanti del loro territorio.

Nella composizione dei palazzi, ad un certo punto, infatti, emergono alcune innovazioni architettoniche significative come i pozzi di luce, spazi aperti all’interno delle costruzioni, circondati da portici sorretti da colonne, che consentivano alla luce e all’aria di penetrare.

I bacini lustrali, ambienti sotterranei, erano legati a manifestazioni cultuali. L’accesso avveniva attraverso una scala a gomito ancora oggi visibile nella celebre Sala del Trono.

I cortili centrali, tutti orientati da nord a sud, hanno acquisito un’importanza fondamentale nei Secondi Palazzi, diventando punti focali di queste grandi strutture architettoniche.

Corte centrale. Turisti in fila per entrare nella Sala del Trono.

Infine, ci sarebbe anche una quarta funzione, quella residenziale, ma è ancora oggetto di dibattito. La residenza dell’élite minoica è difficile da individuare, poiché i piani superiori dei palazzi sono per lo più scomparsi.

Quell’area comunemente chiamata il megaron della regina, famosa per l’affresco con i delfini, al momento è solo un’interpretazione frutto dell’immaginazione di Arthur.

Disegno ricostruttivo.

Come abbiamo visto, i Primi Palazzi non erano solo centri di potere politico ed economico, ma anche centri artistici. Le élite hanno cercato di esprimere il loro status sociale attraverso la creazione di oggetti di lusso in vari campi artistici, tra cui architettura, ceramica, oreficeria e metallurgia.

Questo periodo ha conosciuto un notevole progresso nelle arti tradizionali e ha visto la nascita di nuove tecniche artistiche come la maiolica. La celebre dea con i serpenti è stata realizzata con questo materiale.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta

L’arte minoica si è evoluta in risposta alle esigenze delle élite e all’importanza del potere politico e religioso. Le importazioni di materie preziose e i contatti con altre civiltà, come l’Oriente e l’Egitto, hanno fortemente influenzato l’arte minoica portando alla creazione di opere d’arte di altissima qualità, tra cui la glittica e la lavorazione dei metalli.

La glittica è l’arte di incidere sigilli su pietra o altri materiali.

I sigilli fungevano da emblema di potere e status. Mentre molti sigilli erano di proprietà di persone relativamente comuni, alcuni sigilli eccezionali in termini di qualità artistica erano associati al sovrano o ai membri influenti dell’élite.

Anche la ceramica minoica è stata ammirata per la sua straordinaria bellezza, nonostante fosse realizzata con materiali molto più semplici rispetto a quelli precedentemente menzionati. Questa ceramica si contraddistingue per le sue pareti sottili, simili a gusci d’uovo, e per le decorazioni dipinte, talvolta in rilievo. La ceramica di Kamares raffigura motivi floreali, polipi, pesci e occasionalmente figure umane, sempre in armonia con la forma del vaso.

Difficilmente troverai un polipo tanto simpatico come quello di Guarnià.

Brocca di Gurnià. Museo Archeologia di Iraklio.

Nell’oreficeria, i minoici si sono superati sviluppando la tecnica della granulazione, che ha permesso di saldare granuli sferici di oro o di argento su superfici metalliche.

Questa tecnica ha contribuito alla creazione di gioielli straordinari come il ciondolo con le api di Mallia.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta

Al 1700 a.C. si ascrive la fine della civiltà dei primi palazzi (fase protopalaziale). Canonicamente, gli studi si dividono in due scuole di pensiero per spiegare cosa successe: da una parte, troviamo i sostenitori di una causa geologica quale un terremoto; dall’altra, coloro che preferiscono parlare di lotte interne che hanno logorato la civiltà protopalaziale.

Nonostante le due scuole di pensiero si muovano su binari diversi, le evidenze archeologiche abbracciano entrambe le cause, ma separandole geograficamente.

Le prove di un forte terremoto si rintracciano nella valle di Amari, a ovest del maestoso monte Ida, tra i quali reperti qui ritrovati spiccano una serie di documenti d’archivio e impronte di sigilli in argilla che furono obliterati dai funzionari responsabili dei magazzini palaziali, svelando uno stretto legame amministrativo tra vari centri palaziali, tra cui i ben noti Festo, Monastiraki e Apodoulou.

Ciò suggerisce una rete di relazioni pacifiche e scambi commerciali tra queste città-stato cretesi.

I palazzi in cui giacevano questi reperti sono stati distrutti da terremoto di un’entità talmente grave da aver causato lo spostamento dei muri delle residenze palaziali, distruggendo gran parte degli insediamenti, come ha rintracciato lo studio archeologico: l’analisi delle prove suggerisce che il terremoto fu devastante al punto da provocare una significativa instabilità sociale ed economica.

Nella Creta orientale, invece, la situazione cambia e le evidenze sembrano dar ragione ai sostenitori delle cause sociali. Una delle evidenze è l’apparato difensivo scoperto a Pirgo, nella Creta orientale; un’altra è la scoperta di vasi di bronzo nascosti sotto il pavimento di una casa nel Quartier Mu di Mallia, un sito cretese: questa pratica di nascondere beni preziosi suggerisce un tentativo da parte della popolazione locale di proteggere i loro beni da possibili incursioni nemiche o saccheggi.

Tale comportamento è tipico delle società in cui le tensioni interne e le minacce esterne sono crescenti.

La presenza di questi segni di preparazione militare e protezione dei beni suggerisce che potessero esserci tensioni crescenti tra i vari centri di potere cretesi come città-stato o palazzi in competizione per il controllo dell’isola.

Inoltre, gli strati di distruzione presenti nei siti di Mallia e Pirgo contengono ceramica con stili e caratteristiche specifiche che si ritrovano solo all’inizio del periodo successivo a Cnosso e Festo.

Questo è un elemento rilevante perché suggerisce che la fine del periodo protopalaziale, nella Creta orientale, potrebbe essere avvenuta in un momento successivo rispetto a quella verificatasi nella zona occidentale dell’isola dove invece la transizione fu immediata.

Non solo quindi una diversità su base geografica, ma anche temporale. Questo potrebbe significare, quindi, che le dinamiche politiche, sociali o geologiche che hanno portato al collasso della civiltà dei primi palazzi sarebbero diverse a seconda delle zone dell’isola.

La conclusione principale che emerge da questa complessa rete di prove è che la fine della civiltà dei primi palazzi cretese è stata causata da una combinazione di più fattori.

Se i terremoti hanno rappresentato una minaccia costante per Creta, vista la conformazione del territorio soggetta a sismi, la distruzione su vasta scala suggerisce che anche altri fattori entrarono in gioco, come le tensioni sociali e politiche.

La fase successiva è chiamata dei secondi palazzi o neopalaziale e vede i discendenti dei costruttori dei primi palazzi, i Minoici, erigere i cosiddetti Secondi palazzi.

È importante sottolineare che non ci fu una discontinuità tra il periodo protopalaziale e il neopalaziale; piuttosto, si verificò un’evoluzione che portò la civiltà minoica a raggiungere l’apice della sua potenza.

Il periodo dei Primi Palazzi fu segnato da grandi innovazioni, mentre il periodo neopalaziale vide la piena realizzazione di queste innovazioni in un contesto di straordinaria prosperità nel bacino orientale del Mediterraneo.

Diciamo subito che le ragioni di questa prosperità erano in gran parte legate al ruolo centrale che Creta aveva acquisito nelle rotte commerciali dell’antico Mediterraneo.

Fin dall’epoca dei Primi Palazzi, i Minoici stabilirono presenze commerciali significative lungo le rotte che collegavano Creta alla costa siro-palestinese e alla valle del Nilo. I loro vasi in ceramica, come quelli di stile Kamares, sono stati rinvenuti in Egitto, a Beirut, a Biblo e a Ugarit.

A testimonianza dell’influenza dell’Egitto sulla cultura minoica, a Creta sono stati rinvenuti testi egizi nei quali è possibile osservare rappresentazioni di oggetti e animali, come gatti e sfingi.

Allo stesso tempo, durante il periodo di dominio Hyksos in Egitto – che fa riferimento a un gruppo di popolazioni semitiche provenienti dall’Asia e che hanno giocato un ruolo significativo nella storia dell’Antico Egitto – non mancò l’influenza minoica nella cultura egiziana.

I legami tra Creta e il Nilo si approfondirono ulteriormente. Affreschi trovati ad Avaris, la capitale Hyksos nel delta del Nilo, mostrano scene che richiamano l’arte minoica, come la tauromachia e il motivo del labirinto, altro elemento distintivo della cultura minoica.

Con l’avvento della XVIII dinastia egizia, che controllava l’intero corridoio siriano, dalle regioni di Gaza fino ad Ugarit, Creta divenne un importante fornitore di materie prime per l’Egitto.

I Minoici trasportavano oro, argento, pietre preziose, rame e avorio, oltre a prodotti artigianali di alta qualità, come vasi, armi e tessuti verso l’Egitto.

Questa crescente domanda egiziana di risorse e manufatti minoici portò a un notevole arricchimento dell’isola di Creta, dando origine ai Secondi Palazzi, tra cui quelli di Cnosso, Festo, Mallia, Zakros e Cidonia, costruiti sopra i Primi.

Ma l’espansione minoica non si limitò solo a Creta: si estese anche alle isole Cicladi e al continente greco. Le colonie minoiche includevano insediamenti di popolamento, scali commerciali e protettorati politici.

Questo sistema di colonizzazione e controllo garantiva la tranquillità degli scambi commerciali nel Mediterraneo orientale e consentiva a Creta di mantenere o sviluppare i propri interessi in molte regioni.

Un elemento fondamentale nell’analisi dell’unità politica di Creta è la presenza di una lingua unica che si estendeva in tutta l’isola durante il Periodo dei Secondi Palazzi.

Nonostante la scrittura lineare A non sia stata ancora decifrata, l’esistenza di formule amministrative simili e l’uso di parole comuni suggeriscono l’esistenza di una lingua comune.

Questa omogeneità linguistica non può essere il risultato casuale di individui indipendenti che imparavano le stesse formule, quanto la prova dell’esistenza di una lingua dominante in tutta Creta e non solo.

La questione chiave è: quale centro politico ha potuto esercitare un’influenza così ampia da far sì che l’intera isola e altri centri esterni condividessero una cultura e una lingua?

Sebbene ci siano molte incertezze, alcuni elementi suggeriscono che sia stato il palazzo di Cnosso ad aver ricoperto un ruolo predominante nell’età neopalaziale. Tuttavia, non abbiamo abbastanza prove per rispondere in modo definitivo.

Alcune delle caratteristiche più distintive dell’arte minoica neopalaziale sono l’architettura monumentale e l’urbanistica sviluppate in questo periodo. Cinque grandi palazzi, tra cui Cnosso, Mallia, Festo, Zakros e Cidonia, presentano somiglianze strutturali dovute alle loro funzioni politiche, economiche e religiose comuni. Questi palazzi, integrati nelle città circostanti, occupano il punto più elevato del sito.

Un elemento chiave dell’architettura neopalaziale è la grande corte centrale intorno alla quale si articolano i vari blocchi della costruzione. Questi cortili, sebbene di dimensioni variabili, svolgono un ruolo centrale nell’organizzazione urbana e nelle cerimonie pubbliche.

Corte centrale. Cnosso

Accanto alla corte centrale, un altro aspetto distintivo è il cortile occidentale, una vasta spianata pavimentata che collega il palazzo alla città. Queste grandi piazze, spesso arricchite da strade lastricate e altri elementi, servivano come luoghi per assemblee e cerimonie pubbliche.

Il palazzo di Cnosso, uno dei più noti e meglio conservati, è situato su una collina a circa quattro chilometri dal mare e copre una vasta area di 60 ettari. La popolazione complessiva potrebbe aver superato i 100.000 abitanti, rendendo Cnosso la capitale di una vera e propria talassocrazia, cioè di un dominio sul mare.

Devi sapere che oltre ai grandi palazzi, a questo periodo risalgono anche le cosiddette “ville principesche” o “ville residenziali.” Sono edifici che servivano come dimore dell’élite palaziale e hanno caratteristiche architettoniche simili ai palazzi ma in scala ridotta. Tra queste ville, spicca la Villa di Aghia Triada che riflette architettonicamente il palazzo di Festo. Entrambi visitabili (info in dettaglio nella sezione Consigli pratici).

La tradizione mitologica associa il nome di Dedalo, un geniale architetto, all’architettura minoica.

Si pensa che Dedalo abbia contribuito alla progettazione del palazzo di Cnosso e di altre importanti strutture. Il termine “labirinto” è stato associato all’architettura minoica, ma potrebbe non indicare proprio un groviglio di stanze, bensì un edificio ben organizzato e armonioso.

L’arte minoica trova una delle sue più significative espressioni negli affreschi, ossia dipinti murali che adornavano gli ambienti dei palazzi e delle case private a Creta a partire dal 1600 a.C. Questi affreschi rappresentano una testimonianza straordinaria della vita e della cultura dei Minoici.

La pittura minoica si caratterizza per l’uso di colori come l’ocra, il blu e il bianco, creando opere che raccontano diversi aspetti della civiltà minoica. Tra le rappresentazioni più notevoli, spiccano le grandi processioni che esaltano la maestà reale.

Queste processioni sono ritratte su pareti e corridoi importanti del palazzo di Cnosso. Fa parte di una processione anche il Principe dei Gigli, rappresentato con la tecnica dello stucco dipinto, a metà strada tra la pittura e il rilievo.

Oltre alle processioni, gli affreschi minoici raffigurano scene di vita di corte, dando particolare risalto ai personaggi femminili. Tra queste, si distinguono la “Parigina” e le “Dame in blu” di Cnosso, che offrono uno sguardo sulla vita quotidiana e sulla loro eleganza.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta.

Tuttavia, molti di questi affreschi sono in uno stato di conservazione precario, e la maggior parte delle opere esposte al Museo di Iraklion ha subito restauri e integrazioni pesanti negli anni di Evans.

Fortunatamente, la scoperta dell’antica città minoica di Akrotiri sepolta sotto la cenere del vulcano di Santorini nel 1967 ha permesso di recuperare numerosi affreschi ben conservati caratterizzati da un disegno convenzionale e da un senso di movimento e spazio indefinito. Questo stile contrasta notevolmente con le arti orientali o classiche, in particolare con l’arte egizia, che tende a raffigurare una realtà statica e immobile.


Se volessi conoscere di più sull’arte e, in modo particolare, sugli affreschi dell’antica Akrotiri, cliccando qui o sull’immagine troverai un approfondimento sulle donne dell’isola durante l’Età del Bronzo.

Torniamo a noi.

Cosa sappiamo delle donne in queste antiche società, in particolare nei contesti minoici? Esaminando le fonti disponibili, quali affreschi, sigilli e testi micenei, possiamo scoprire un quadro sorprendentemente vario e complesso della condizione della donna.

Gli affreschi, testimonianze visive di notevole importanza, rivelano che le donne nel mondo minoico erano oggetto di grande considerazione. Queste opere d’arte ritraggono donne di differenti età e status sociale coinvolte in attività quotidiane, rituali religiosi e cerimonie a suggerire che svolgevano un ruolo centrale nella vita sociale e culturale della comunità. Le donne, dunque, non erano confinate alla sfera domestica, ma erano attivamente coinvolte nella vita pubblica.

I testi indicano che le donne, in particolare le sacerdotesse, avevano personalità giuridica e il diritto di contestare la proprietà terriera e che quindi fossero attive nella legalità, evidenziando una certa parità di genere. Oltre a ruoli legali, le donne ricoprivano incarichi istituzionali come il ruolo di “guardasigilli” ed erano quindi coinvolte nell’amministrazione delle risorse religiose.

Anche le donne schiave svolgevano professioni comunemente associate agli uomini, come il fabbro. Inoltre, donne di alto status, come le sacerdotesse di Zeus, potevano intrattenere relazioni con schiavi maschi, indicando che le relazioni affettive e sessuali erano più sfumate e complesse di quanto comunemente si pensi.

Infine, alcuni testi rivelano che alcune donne erano coinvolte nella gestione delle botteghe, specialmente quelle legate alla lavorazione della lana e alla fabbricazione dei tessuti. Questo avvalora l’idea che le donne non solo potevano essere professioniste, ma imprenditrici e gestrici di attività commerciali, sfatando il mito che le loro attività fossero limitate all’ambito domestico.

Oltre agli affreschi, la glittica – ossia l’arte di realizzare sigilli – e l’oreficeria in generale rappresentano un’altra importante fonte di conoscenza dell’arte minoica. Nel periodo neopalaziale, l’arte della glittica raggiunse livelli senza precedenti, con l’uso di pietre dure semipreziose per creare sigilli con motivi ornamentali, architettonici e naturalistici.

Questi sigilli ci offrono un’ampia gamma di raffigurazioni, dalla natura agli animali, dai personaggi e alle scene religiose. Come questo anello-sigillo tutto in oro, rinvenuto in un cimitero nei pressi di Cnosso.

Anello d’oro di Isopata. Museo Archeologico di Iraklio. Creta

Vedremo alcuni di questi capolavori insieme nella prossima newsletter, dedicata al sigillo di agata ritrovato nella tomba di un guerriero a Pilos, per poter osservare da vicino quali sono le differenze narrative tra l’arte minoica e l’arte micenea e rendere le nostre visite ai musei esperienze indimenticabili e significative.

L’oreficeria, nell’arte minoica, rappresenta un capitolo affascinante che indagheremo con grande slancio. Intanto, sappi che le testimonianze di gioielli del periodo neopalaziale a Creta sono estremamente rare. È paradossale che alcune delle più straordinarie opere d’arte orafa minoiche siano giunte fino a noi grazie agli esemplari ritrovati nelle tombe micenee di Micene e di Vaphio, situate al di fuori dell’isola di Creta. In questi straordinari manufatti, possiamo scorgere non solo la maestria tecnica degli artigiani minoici, ma anche la loro abilità nel creare scenari vividi e suggestivi.

Certamente non possono mancare le “dee con i serpenti” del palazzo di Cnosso che sono diventate emblema della civiltà minoica, insieme ai tori. Queste statuette in maiolica, uniche nel loro genere nel mondo egeo, sono state rinvenute nei “Depositi del Tempio,” situati sotto il pavimento di un ambiente nell’ala occidentale del palazzo e sembrano essere stati depositati lì dopo la distruzione del santuario a cui erano originariamente associati, aggiungendo un alone di mistero al loro significato e alla loro funzione. Quella che vedi in foto è caratterizzata da dettagli e simbolismo unici che la rendono un’opera d’arte eccezionale.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta

La dea è raffigurata in piedi, con un’espressione intensa e penetrante. Le braccia, modellate con grande cura, sono aperte ai lati e le mani stringono due serpenti, creando maestosità e autorità. La dea indossa una tunica a sbalzi dai colori vivaci, con maniche corte che lasciano il petto nudo.

La tunica è di colore arancione ed è ricamata con motivi a spirali e strisce blu, aggiungendo una nota di eleganza e sofisticazione alla figura. Ciò che rende questa statuetta davvero unica è il suo copricapo, ricamato con rosette e sormontato da un gatto.

Questa associazione tra il serpente, simbolo del mondo sotterraneo e infernale, e il gatto richiama alla mente l’antica mitologia egizia. In Egitto, esisteva la dea Bastet, la “buona gatta,” patrona della città di Bubasti nel delta del Nilo. La sua immagine, una testa di gatta graziosa innestata su un corpo sinuoso di donna, era molto diffusa.

Accanto alla dea Bastet, esisteva un altro tipo di gatto mitologico nell’antico Egitto, associato al dio Ra. Questo gatto solare, simile ai gatti che cacciavano tra le piantagioni di papiri, lottava contro il serpente-drago Apopi, il nemico di Ra.

Nelle rappresentazioni, si incontra il felino che regge i coltelli per tagliare le spire del Male come protagonista di molte scene del Libro dei Morti. La connessione tra il gatto cretese poggiato sulla testa della dea dei serpenti di Cnosso e il gattone egizio (che a me sembra un grosso coniglio) che lotta contro il serpente-drago Apopi è straordinariamente impressionante.

È possibile che il culto del gatto, incarnazione delle forze solari contro le forze ctonie (sotterranee, del mondo dei morti) rappresentate dai serpenti, abbia influenzato la religione minoica.

A questo periodo risalgono anche numerosi vasi in pietra provenienti dalle officine specializzate degli artisti che lavoravano per le élite palaziali. Questi vasi, sia di lusso che ad uso rituale, dimostrano la competenza tecnica e l’attenzione ai dettagli degli artigiani minoici.

Tra i vasi più celebri ci sono i rhyton, ossia contenitori utilizzati per versare e consumare liquidi – durante cerimonie o rituali – attraverso un piccolo foro; rhyton in pietra a forma di testa di toro o di leonessa sono stati rinvenuti in frammenti e possono essere collegati a cerimonie rituali, forse rotti deliberatamente durante tali riti. La testa di toro in calcare traslucido, proveniente dal piccolo palazzo di Cnosso, è divenuta un simbolo dell’arte minoica.

Verso il 1450 a.C., avvenne un fatto epocale che decretò la fine della cultura di Akrotiri: l’eruzione del vulcano di Santorini.

L’evento ebbe un impatto devastante sull’isola di Thera (l’antico nome di Santorini) e sulle regioni circostanti a causa dell’enorme nube di cenere vulcanica, dell’immersione di parti dell’isola sott’acqua e per aver provocato un terremoto che danneggiò gravemente la città di Akrotiri, il centro urbano più importante di Thera.

Ma l’eruzione vulcanica di Santorini ebbe conseguenze disastrose per tutta la civiltà minoica: l’isola di Thera era infatti una colonia minoica di grande importanza, e la sua distruzione interruppe gravemente le rotte commerciali che avevano reso i Minoici i protagonisti nel commercio marittimo dell’epoca.

Le città minoiche di Aghia Irini e Phylakopi furono distrutte da un terremoto nello stesso periodo, indebolendo ulteriormente la presenza minoica nell’Egeo.

Nel caos generato dall’esplosione vulcanica e dalle conseguenti instabilità regionali, i Micenei, provenienti dal continente greco, colsero l’opportunità per emergere come una potenza dominante nell’Egeo. Essi presero d’assalto e distrussero numerosi palazzi minoici, tra cui quelli di Mallia, Zakros, Archanes e Kudonia.

Questo periodo di transizione vide la sostituzione della scrittura lineare A, usata dai Minoici, con la lineare B, in uso presso i Micenei.

La fine della civiltà minoica segnò anche la fine della talassocrazia minoica, ossia la loro dominazione marittima nell’area. Il commercio marittimo che aveva reso i Minoici così influenti fu interrotto, e le rotte commerciali furono riconquistate dai Micenei.

Il 1450 a.C. dunque segna un momento di svolta nella storia di Creta, con la distruzione dei palazzi minoici ad eccezione di Cnosso. Questi eventi tumultuosi portarono a cambiamenti radicali sull’isola, tra cui l’ascesa di una dinastia micenea (achea) al potere e l’introduzione della scrittura lineare B nella cancelleria di Cnosso.

Questo periodo di trasformazione, pur rappresentando una discontinuità rispetto all’epoca precedente, rivela un notevole sviluppo culturale ed artistico a Cnosso.

Va notato però che nonostante il palazzo fosse stato risparmiato dalle distruzioni, esso subì importanti modifiche nella sua struttura come ampliamenti e ristrutturazioni vari: le trasformazioni più significative riguardarono proprio la sala del trono.

Osserva la porta di fronte a te. In epoca minoica, questa porta era aperta e faceva parte di un percorso ben definito, che ora ti illustrerò. Quando i Micenei presero il controllo del palazzo di Cnosso, questa porta fu sigillata. Perché?

Anche il bacino lustrale, che in passato era una parte integrante dei complessi rituali svolti all’interno di questo spazio, venne coperto e liberato solo nel 1900 da Evans e il suo team. 

Durante la fase di ristrutturazione per mano dei Micenei, gli affreschi nella Sala del Trono furono ridipinti, anche se rispettavano e seguivano gli schemi più antichi.

I grifi che si trovano ai lati del trono insieme alle palme facevano parte dell’iconografia caratteristica del periodo minoico, che è il periodo antecedente all’arrivo dei Micenei.

Il trono stesso, realizzato in calcare, era circondato da panche anch’esse realizzate della stessa pietra, ed è altamente probabile che tutte queste strutture fossero decorate con pitture.

Per confermare questa ipotesi, si può citare il fatto che quando Arthur Evans effettuò la sua scoperta nel 1900, erano ancora presenti tracce di colore bianco e rosso nella parte inferiore del trono, indicando la possibilità che anche lo schienale fosse dipinto.

La sala è comunemente conosciuta come la “sala del trono” per la presenza dell’imponente sedile in pietra al suo interno, ma ciò che questo nome non rivela è l’evoluzione e le diverse funzioni che questa stanza ha svolto nel corso dei secoli.

La Sala del Trono è stata così chiamata in modo convenzionale e deve la sua denominazione al suo scopritore, Arthur Evans. Tuttavia, è importante sottolineare che il nome “trono” potrebbe fuorviare, poiché la struttura non era necessariamente associata alla regalità come suggerisce il termine.

Per comprendere il contesto della Sala del Trono, è importante iniziare dall’accesso ad essa. Questo spazio era raggiungibile dalla corte centrale attraverso i polythira, ossia aperture o porte multiple chiuse con battenti fissi o mobili all’interno di edifici con scopi sia pratici che simbolici.

Queste aperture suddividevano lo spazio interno in zone separate, al fine di garantire privacy e separare più attività. Quando venivano aperte, rivelavano parti nascoste dell’edificio, collegando ambienti diversi e agevolando il passaggio di luce e persone.

Inoltre, erano utilizzate per regolare l’illuminazione naturale: aprendosi lasciavano entrare la luce, mentre chiudendosi creavano un’atmosfera intima.

Una volta superati i polythira, si giungeva a un vestibolo con u pavimento lastricato e lunghe panche disposte lungo la parete. Si suppone che al centro delle due panche adiacenti alla parete settentrionale potesse trovarsi un trono in legno. Quello attualmente visibile è una moderna replica.

Superando il vestibolo, ci si immergeva nella famosa Sala del Trono, nota per il suo sedile in pietra con uno schienale ondulato al centro della parete settentrionale, circondato da banchine anch’esse in pietra.

Questa configurazione potrebbe suggerire l’uso della sala per cerimonie di carattere sacro e la presenza di un bacino lustrale accessibile tramite una scala a L rafforza questa teoria.

La presenza del bacino suggerisce che questa stanza avesse una funzione purificatoria. Il pavimento era lastricato mentre le pareti erano decorate con due coppie di grifoni, posti ai lati del trono e accanto alla porta che conduceva alle stanze più interne.

Già a un primo sguardo veloce ci rendiamo immediatamente conto che l’ambiente era estremamente esclusivo e riservato a un ristretto numero di privilegiati.

L’aspetto più interessante della Sala del Trono è l’accesso interno alla struttura, che metteva in evidenza un sistema di circolazione complesso e un meccanismo di inclusione ed esclusione.

Pertanto, la sala era parte di un complesso più ampio che includeva anche due piccoli vani designati dagli archeologi come “santuario interno.” Questi spazi erano collegati ad altre stanze, tra cui magazzini e una cucina, a sottolineare la complessità dell’utilizzo di questa area.

La storia della Sala del Trono è ulteriormente complicata dalla sua evoluzione nel periodo miceneo. Le ricerche più recenti sulla Sala del Trono indicano un cambiamento significativo nella fase successiva, compresa tra il 1450 e il 1300 a.C., quando il palazzo passa sotto il controllo di una élite micenea.

In questa fase, viene attuata una prima e significativa modifica al sistema di circolazione: l’ingresso dalla corte centrale resta invariato, ma il passaggio interno viene chiuso, il bacino lustrale viene riempito di terra e mai più utilizzato, e si configura un accesso simile a quello delle sale del trono nei palazzi micenei.

Questo radicale cambiamento nel modello di circolazione suggerisce che la struttura assunse un nuovo significato perché subentrò un nuovo protagonista: il leader politico miceneo. Di conseguenza, quella struttura venne automaticamente modificata per adattarsi agli scopi di questo nuovo leader e fu trasformata in un megaron.

Il megaron era il centro del sistema politico dei Micenei e costituiva il cuore del palazzo miceneo, caratterizzato dalla sala del trono al suo centro. Prendiamo come esempio il palazzo miceneo detto di Nestore a Pylos (Grecia).

Questa sala del trono micenea presentava un grande focolare centrale e quattro colonne ai lati, che dovevano circondare il focolare al centro, rimasto quindi scoperto dal tetto per ragioni funzionali.

L’elemento distintivo di questa struttura era la sua chiarezza architettonica e la sua disposizione assiale, in netto contrasto con l’architettura palaziale minoica, che era spesso caratterizzata da percorsi tortuosi e complessi.

Palazzo miceneo.

Palazzo minoico

Dunque, se torniamo nella nostra sala del trono, possiamo affermare brevemente che dobbiamo considerare almeno due fasi, ciascuna con attività differenti.

Nel periodo minoico, la sala aveva principalmente una funzione sacra, cultuale e purificatrice confermata dalla presenza del bacino lustrale, mentre nel periodo Miceneo, la Sala del Trono viene utilizzata come luogo di ricevimento per visite ufficiali o cerimonie di rappresentanza, ma anche per scopi amministrativi o per prendere decisioni importanti.

Questo spazio è servito come luogo in cui il leader politico, o chiunque detenesse il potere in quel momento (il wanax), poteva incontrare dignitari stranieri o membri dell’élite locale.

Nel contesto della Sala del Trono, emerge chiaramente una differenza nelle funzioni e nelle attività tra il periodo minoico e il periodo miceneo. Questa distinzione ha suscitato un interesse significativo tra gli archeologi, che hanno cercato di comprendere chi potesse essere al centro dei riti svolti all’interno di questa sala durante l’epoca minoica.

Alcune teorie suggeriscono che coloro che avevano accesso a questo spazio speciale potevano aspettarsi la presenza di una figura preminente, con alcune evidenze che indicano la possibilità che questa figura fosse una sacerdotessa. Tuttavia, sorge una domanda chiave: perché una sacerdotessa e non un sacerdote?

Per comprendere questa scelta, dobbiamo guardare all’iconografia dell’epoca minoica. Nelle rappresentazioni artistiche minoiche, le figure femminili occupano un ruolo di spicco e sono sempre associate a elementi sacri e di culto.

Queste figure sono spesso ritratte insieme a creature mitologiche, suggerendo un collegamento profondo tra le donne e sacro.

Le donne minoiche probabilmente sono state percepite come uno speciale tramite tra il mondo degli esseri umani e quello delle divinità, portatrici di una connessione privilegiata con il divino, capaci di interpretare i segnali e le volontà delle divinità per la comunità minoica.

La loro presenza nella Sala del Trono potrebbe aver simboleggiato il collegamento tra il potere politico e religioso.

Del resto, abbiamo detto che i palazzi minoici avevano almeno tre funzioni: economica, politica e religiosa, e che tutte e tre erano fortemente connesse. Tuttavia, le pratiche religiose svolte all’interno della Sala del Trono sono ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi; possiamo però immaginare un possibile scenario rituale che potrebbe aver avuto luogo in questo spazio sacro.

In generale, i rituali dovevano coinvolgere un gran numero di devoti desiderosi di partecipare o assistere alla cerimonia. In questo caso, la fase pubblica della cerimonia, aperta alla folla, avrebbe potuto svolgersi nella corte centrale del palazzo.

Alcuni studiosi hanno interpretato infatti la corte centrale proprio come il centro delle grandi cerimonie comunitarie e luogo di incontro e interazione tra i diversi livelli della società; la Sala del Trono era invece un ambiente esclusivo e riservato, con accesso limitato. Ciò significa che l’ingresso a questo spazio era riservato solo a pochi individui selezionati.

Di conseguenza, dalla corte centrale, solo un ristretto gruppo di individui avrebbe avuto il permesso di avanzare verso l’anticamera della sala. Qui, potrebbero aver svolto rituali preparatori, come il cambio d’abito, in preparazione all’ingresso nella Sala del Trono.

Una volta completata questa fase preparatoria, il gruppo avrebbe avuto accesso alla Sala del Trono e si sarebbe disposto sui sedili in pietra, in un ambiente fortemente suggestivo, dato principalmente dal bacino lustrale e dalle figure mitologiche alle spalle, come i grifoni.

Le raffigurazioni dei grifi sulle pareti della sala hanno un significato simbolico importante: nei miti e nelle leggende di molte culture antiche, i grifi erano spesso considerati creature mitologiche con caratteristiche proprie.

Solitamente, i grifi erano ritratti come creature con il corpo di un leone e la testa e le ali di un’aquila, a simboleggiare una connessione tra la terra e il cielo, tra la forza e la spiritualità. Nella Sala del Trono, i grifi potrebbero essere stati scelti per evocare un senso di potenza e sacralità considerandoli guardiani o protettori di luoghi sacri.

Ci sono almeno due cose da notare.

La presenza di un grifo accovacciato rivolto verso la porta che conduce nel percorso interno, da cui si presume che la sacerdotessa passasse, potrebbe suggerire un ruolo di custodia o di guida da un mondo esterno a uno interno.

Allo stesso tempo, la disposizione dei due grifi rivolti verso il trono potrebbe significare una protezione. Potrebbero essere stati considerati guardiani del trono e della figura seduta su di esso, indipendentemente che fosse una sacerdotessa o un altro individuo di rilievo.

Gli archeologi, unendo tutti i dettagli a disposizione, hanno suggerito che la Sala del Trono potesse essere utilizzata per cerimonie di Epifania divina, in cui la sacerdotessa era il tramite tra il divino e l’umano.

L’Epifania divina è un concetto religioso e spirituale che si riferisce a una manifestazione o una rivelazione straordinaria e soprannaturale di una divinità o di un essere divino agli esseri umani o a una persona in particolare. In sostanza, è un momento in cui la volontà di una divinità diventa chiara e visibile agli occhi delle persone, spesso in modo sorprendente.

Queste esperienze possono avere un impatto profondo sulla vita e sulla fede delle persone e sono spesso considerate eventi sacri e spiritualmente significativi.

Ma chi era la figura preminente che questo gruppo aspettava? Probabilmente una sacerdotessa che doveva impersonare una divinità, considerando le frequenti rappresentazioni minoiche della dea fiancheggiata da animali fantastici, tra i quali spesso figuravano proprio i grifoni, come in questo anello-sigillo in oro.

Dea con grifoni ai lati.

La sacerdotessa sarebbe dunque entrata dalla porta che collegava la sala al percorso interno.

Il percorso interno, non visibile al gruppo già seduto nella Sala del Trono, avrebbe permesso alla sacerdotessa di compiere un ingresso spettacolare e suggestivo. Questo percorso avrebbe potuto aggiungere un elemento di sorpresa e fascino alle cerimonie, forse accompagnato da musica e effetti luminosi speciali, contribuendo così a creare un’atmosfera emozionante e coinvolgente.

Prima di fare il suo ingresso nella Sala del Trono, la sacerdotessa avrebbe potuto prepararsi nei locali interni collegati a questo percorso e ciò avrebbe potuto includere la meditazione, il cambio d’abito con indumenti adatti o il denudamento, a seconda del ruolo che doveva svolgere nella cerimonia.

Una volta pronta, la sacerdotessa avrebbe attraversato lentamente le stanze collegate attraverso quel passaggio segreto, creando un momento di grande suspance per gli spettatori: ho immaginato allora due possibili scenari per il momento dell’arrivo della sacerdotessa alla Sala del Trono.

Nel primo, la sacerdotessa avrebbe immediatamente utilizzato il bacino lustrale come parte integrante del rituale. In questo caso, la sua prima azione sarebbe quella di avvicinarsi al bacino lustrale, posizionato strategicamente nella sala. Qui, avrebbe compiuto due gesti di grande simbolismo: la denudazione e il rituale di purificazione.

Tale rituale avrebbe potuto comprendere gesti come il lavaggio o l’immersione nell’acqua cristallina del bacino. Questo atto rappresenterebbe il profondo desiderio di purificare sia il suo corpo che lo spirito, preparandosi adeguatamente alla funzione sacra alla quale era chiamata.

Dopo questa fase, la sacerdotessa avrebbe indossato gli abiti cerimoniali appositamente preparati per l’occasione, per poi proseguire verso il trono, dove avrebbe preso posto.

Nel secondo scenario, la sacerdotessa avrebbe fatto ingresso nella Sala del Trono nuda, manifestando la purezza del suo spirito. Una volta all’interno della sala, si sarebbe avvicinata lentamente al bacino lustrale per avviare il rituale di purificazione.

Anche ora, avrebbe potuto detergersi o immergersi nell’acqua del bacino lustrale, simboleggiando il suo atto di purificazione e la separazione dalle impurità o dalle energie negative. Dopo la completa purificazione, la sacerdotessa avrebbe compiuto con il rituale di vestizione, indossando gli abiti cerimoniali, non dissimili da quelli della dea dei serpenti.

Solo dopo aver completato questa fase, sarebbe avanzata verso il trono, dove si sarebbe seduta, tutelata simbolicamente dai due grifoni.

Museo Archeologico di Iraklio. Creta

Le cerimonie all’interno della Sala del Trono miravano a catturare l’immaginazione degli spettatori. La sacerdotessa, con il suo percorso interno e i gesti rituali che la accompagnavano, avrebbe incarnato il mistero e la magia delle pratiche religiose minoiche.

La combinazione di elementi visivi, sonori e simbolici avrebbe contribuito a creare un’esperienza emotiva e spirituale profonda per coloro che assistevano a questi riti, rafforzando il legame tra l’umano e il divino.

FINE I PARTE

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🔍 A quale divinità era destinato il rituale?

🔎 Come avveniva fisicamente una Epifania divina?

🔎 Cosa accadeva all’interno della Sala del Trono nell’epoca minoica?

🌄 Successivamente, avrai a disposizione un’Esperienza di Viaggio IterPopuli, ossia un testo da leggere nella Sala del Trono o nel Cortile Centrale qualora decidessi di intraprendere un viaggio a Creta.

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