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⚔️ La guerra di Troia e il mondo guerresco

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⚔️ La guerra di Troia e il mondo guerresco

Storia  

La celebre città di Troia riveste un’importanza senza pari nella storia reale e mitologica. La sua collocazione geografica era un crocevia di culture, un punto di incontro – e di scontro –  tra le antiche civiltà dei Micenei greci ad ovest e gli Ittiti anatolici ad est.

Questo luogo, noto come Troia o Troade, situato lungo la costa dell’attuale Turchia, era quindi strategicamente cruciale per le interazioni tra queste due potenze dell’Età del Bronzo Tardo. 

Gli scavi archeologici a Hisarlik, condotti da pionieri come Heinrich Schliemann alla fine del XIX secolo, hanno rivelato una città antica con mura possenti, porte imponenti e abitazioni che potrebbero essere state la stessa Troia descritta negli antichi poemi epici.

Questi scavi hanno contribuito a gettare luce sulla storicità della Guerra di Troia narrata nell’Iliade di Omero, un dibattito che ha infiammato la curiosità e l’immaginazione dei ricercatori. 

La Guerra di Troia, sebbene a lungo interpretata come una leggenda epica, potrebbe aver avuto luogo tra il 1200 e il 1000 a.C., durante un periodo in cui le civiltà micenea e ittita dominavano il Mediterraneo antico.

Gli Ittiti, in particolare, erano contemporanei dei Micenei e governavano l’Anatolia con una sofisticata organizzazione statale e un forte esercito. Questa potenza ittita si estendeva su una vasta area e la loro vicinanza ai Micenei rendeva la regione di Troia un punto di potenziale conflitto. 

Inizialmente menzionati nella Bibbia ebraica come parte delle tribù cananee, gli Ittiti divennero oggetto di studio a partire dal XIX secolo grazie a Johann Ludwig Burckhardt e A. H. Sayce, che hanno ne dimostrato l’ubicazione in Anatolia e non in Canaan, ribaltando la prospettiva biblica. Gli Ittiti stessi si definivano “popolo della Terra di Hatti.” 

Il fulcro delle scoperte ittite è stata l’antica città Hattusa, vicina alla contemporanea Bogazköy, in Turchia. Qui, gli archeologi tedeschi hanno portato alla luce un ricco patrimonio culturale, con tavolette di argilla scritte in ittita, accadico e luvio che registrano dettagli della vita quotidiana, eventi ufficiali e trattati.

Queste testimonianze, risalenti all’Età del Bronzo Tardo, rivelano una civiltà sofisticata che fiorì tra il 1700 e il 1200 a.C. 

Gli Ittiti, provenienti da regni più piccoli, consolidarono il loro potere nel XVII secolo a.C., stabilendo Hattusa come capitale. In breve tempo, divennero abbastanza potenti da sfidare Babilonia e abbattere la dinastia di Hammurabi.

Il loro impero concorreva con l’Egitto del Nuovo Regno e commerciava con le altre grandi potenze dell’Età del Bronzo Tardo. Questa interazione è documentata da ritrovamenti in Egitto, Siria e Iraq. 

Il periodo di massimo splendore degli Ittiti fu durante il XIV e il XIII secolo a.C., quando sovrani come Suppiluliuma I governarono con maestria.

L’impero Ittita collassò intorno al 1200 a.C., forse a causa di misteriosi “Popoli del Mare” o di vicini ostili conosciuti come i Kashka, lasciando memoria di sé in numerose tavolette di argilla ad Hattusa e nelle antiche scritture come super potenza dell’età del Bronzo Tardo.

La celebre città di Troia ha catturato l’attenzione di diverse potenze, dai Micenei agli Ittiti, nel loro ambizioso tentativo di espandere il proprio dominio politico ed economico, comprendendo la posizione della città come punto strategico di commercio e controllo.

Nonostante le attenzioni ricevute nel corso del tempo, un’aura di mistero circonda i Troiani. Mentre possediamo abbondanti testimonianze archeologiche e testuali sulle civiltà come gli Ittiti e i Micenei, la chiarezza sugli abitanti di Troia sfugge alla nostra comprensione.

La città di Troia, situata a Hisarlik, sito principale associato ai Troiani, conserva una stratificazione eccezionale, con nove città costruite una sopra l’altra, testimone eloquente della ricchezza storica del luogo, nonché della fluidità etnica dei suoi abitanti attraverso i secoli. 

Per una narrazione storica sul ruolo di Troia possiamo affidarci agli scavi di Hisarlik e ai testi ittiti in cui la città di Troia compare sotto il nome di Wilusa e in un rapporto politico complesso con il Grande Re Ittita, per il quale i re troiani fungevano da vassalli.

Il dato archeologico corrisponde con quello letterario, grazie ai fusi per la tessitura ritrovati a Hisarlik che vengono menzionati nell’Iliade. Omero aggiunge anche un altro particolare: i Troiani come allevatori di cavalli, un’attività di grande importanza in un’epoca dominata dalle armate di carri.

Non solo fusi e cavalli, ma anche vasellame: tra i beni esportati dai Troiani, la “Ceramica Grigia Troiana” è stata identificata come un possibile prodotto regionale, ma la sua esatta origine nella regione della Troade rimane ancora un enigma. Un elemento affascinante che arricchisce la discussione sulla Guerra di Troia è la presenza dei Popoli del Mare.

Questi enigmatici gruppi emergono dall’oscurità della storia, gettando sfide agli storici e agli archeologi. La loro improvvisa comparsa, le devastanti incursioni in diverse regioni del Mediterraneo e le incognite sulla loro origine li rendono un enigma.

I principali riferimenti ai Popoli del Mare provengono dalle attestazioni egiziane, in particolare durante i regni dei faraoni Merneptah e Ramses III. Questi documenti li descrivono come popoli giunti dal nord, dalle isole in mezzo al mare, che hanno attraversato numerose terre, minacciando persino l’Egitto e causando devastazione su vasta scala. 

Tuttavia, la loro presunta influenza sulla fine delle civiltà dell’Età del Bronzo Tardo è ora oggetto di nuove interpretazioni. Alcuni studiosi suggeriscono che i Popoli del Mare potrebbero non essere stati solo razziatori, ma una migrazione di interi gruppi, uomini, donne, bambini e beni, spinti da cause naturali come siccità prolungate o terremoti nelle loro terre d’origine.

La loro reale connessione con la fine di Troia e la Guerra di Troia, comunque, rimane un mistero da risolvere. 

I Micenei 

I Micenei, un popolo dell’antica Grecia identificato grazie alle scoperte dell’instancabile Heinrich Schliemann a Micene nel lontano 1876, occupano un posto di rilievo nella storia dell’Età del Bronzo Tardo.

Questi abitanti della Grecia continentale prosperarono tra il 1700 e il 1200 a.C. e, attraverso i reperti archeologici provenienti da siti come Micene e Tirinto, si è potuto riconoscere il loro ruolo predominante.

La decifrazione delle misteriose tavolette d’argilla contenenti il sistema di scrittura Lineare B, un linguaggio peculiare dei Micenei, hanno fatto luce su numerosi aspetti: attività amministrative, registri commerciali e dinamiche economiche; come attestato da quelle recuperate a Pilo, il celebre palazzo di Nestore.

La classe dominante micenea prosperò grazie alla produzione della triade mediterranea: uva, olive e grano. Queste attività agricole si integrarono all’interno delle classi mercantili e artigianali occupate nel commercio di beni di lusso come oro, argento, bronzo, avorio e vetro. 

La decadenza dei Micenei, intorno al 1200 a.C., si inserisce in un più ampio collasso di civiltà nell’area mediterranea. Le cause di tale declino rimangono tutt’oggi oggetto di dibattito, ma siccità, terremoti ed invasioni straniere potrebbero aver contribuito al loro tragico destino. 

La Società Micenea 

La società micenea, essenzialmente documentata attraverso il ricco patrimonio archeologico di siti come Micene, Tirinto e Pilo, era fortemente stratificata.

Al vertice di questa piramide sociale dominavano il re e la nobiltà, e il ruolo del re era centrale non solo come comandante militare ma anche come figura sacra e simbolo di autorità divina.

Una caratteristica peculiare della civiltà micenea era l’architettura monumentale: le città erano spesso protette da imponenti mura di pietra, come testimoniano i celebri resti delle mura ciclopiche a Micene, rivelando la presenza di conflitti e la necessità di proteggersi da attacchi esterni. 

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La cultura micenea fu profondamente influenzata da civiltà come quella minoica e mesopotamica. Uno degli aspetti più distintivi e affascinanti della società micenea, oltre il sistema di scrittura Lineare B, risiede nelle tombe e nelle sepolture.

Esistevano due tipi principali di tombe, quelle a fossa e quelle a tholos, che si svilupparono in periodi diversi: le tombe a fossa già a partire dal 1700 a.C., mentre quelle a tholos dal 1300 a.C. fino alla fine della civiltà micenea, senza però sostituire le prime. 

Le Tombe a Tholos 

Le tombe a tholos erano maestose strutture funerarie realizzate tramite l’uso di massicci blocchi di pietra, caratterizzate da una pianta circolare con una cupola a forma di conchiglia.

Il celebre Tesoro di Atreo o Tomba di Agamennone a Micene è uno dei più noti esempi di tomba a tholos, con il dromos, un lungo corridoio che conduce all’interno della tomba, e una camera sepolcrale a cupola che si ergeva fino a 13,5 metri di altezza.  

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Queste tombe erano spesso costruite in posizioni di prestigio e visibilità, enfatizzando così l’importanza del defunto o della famiglia ivi sepolti. 

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La presenza di queste tombe a tholos rivela una società chiaramente stratificata, in cui le classi sociali erano nettamente distinte anche nell’aldilà.

Le persone di alto rango, come i re e i nobili, venivano sepolti in tombe più imponenti ed artisticamente elaborate rispetto alle sepolture comuni.

All’interno delle tombe a tholos, gli archeologi hanno rinvenuto una ricchezza di oggetti funerari, come vasi di ceramica decorati, armi, gioielli e altri manufatti che non solo fornivano il necessario al defunto nell’aldilà, ma servivano anche a testimoniarne l’agiatezza e il potere in vita.

Questa pratica riflette la profonda connessione tra la vita terrena e quella ultraterrena secondo la visione micenea del mondo. 

Le tombe a tholos erano legate a pratiche rituali e religiose: la loro forma, infatti, con la cupola che si solleva verso il cielo, è stata interpretata come simbolo della connessione tra il mondo terreno e quello celeste, tra il regno dei vivi e quello degli dèi.

La presenza di offerte e simboli religiosi nelle tombe suggerisce una profonda dimensione spirituale e religiosa associata al processo di sepoltura. 

Le Tombe a Fossa 

Le tombe a fossa erano un altro tipo di sepoltura comune nella società micenea e ci svelano ulteriori dettagli sulle varie pratiche funerarie in uso. Un esempio sono le tombe ritrovate all’interno del circolo A e B a Micene.

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A differenza delle maestose tombe a tholos, le tombe a fossa erano generalmente più semplici. Queste fosse venivano scavate nel terreno, come suggerisce il nome, solitamente con forma rettangolare o ellittica, spesso allineate con pietre o rivestite con lastre di pietra.

All’interno delle fosse, il defunto veniva posizionato insieme al suo corredo funerario: ceramiche, utensili, gioielli e armi. Anche qui, gli oggetti dichiaravano lo status sociale del defunto e lo accompagnavano nell’aldilà.

Ancora oggi, molti continuano a deporre oggetti nei luoghi di sepoltura dei loro cari, come parte delle cerimonie funebri; è comune infatti seppellire il defunto con oggetti come testi sacri, amuleti religiosi o altri simboli associati alle credenze del defunto.  

Anche oggetti correlati alla professione o agli hobby del defunto possono essere sepolti insieme a lui. In un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità ambientale, alcune persone scelgono un corredo interamente biodegradabile!

In una di queste tombe a fossa di Pilo, è stato sepolto un giovane trentenne conosciuto oggi come il Griffin Warrior, cioè il Guerriero del Grifone! Chi era?

Griffin Warrior a Pilo 

Pilo, situata nel sud-ovest del Peloponneso in Grecia, è una terra ricca di storia. Nel corso degli anni, gli archeologi hanno portato alla luce numerosi reperti che ci forniscono preziose informazioni sulla vita e sulle tradizioni delle antiche civiltà.

Uno dei rinvenimenti più significativi è la tomba a fossa Griffin Warrior scoperta nel 2015 durante i nuovi scavi nei pressi del palazzo di Nestore. 

Il contesto storico in cui sorge la tomba è affascinante. Al momento della sua costruzione, il celebre palazzo miceneo non esisteva ancora. 

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La tomba a fossa, di dimensioni considerevoli ma meno imponenti rispetto al Circolo A di Micene, è di straordinaria importanza.

Diversamente dal circolo A, che era una tomba multipla che ospitava più persone, questa a Pilo è una sepoltura singola contenente oltre 2000 oggetti e mai indagata prima del 2015, permettendo così un’analisi attentissima degli oggetti al suo interno. 

La struttura della tomba è composta da un bugnato di ottima qualità, ispirato al design minoico, mentre la parte inferiore sembra essere costituita da pietre provenienti dall’acropoli locale. 

La parte superiore è caratterizzata da un muro a secco, dimostrando la maestria tecnica dei costruttori dell’epoca. All’interno della fossa si trova una cassa di legno con dentro il corpo del defunto e tutti gli oggetti del corredo funerario.

Un blocco di pietra calcarea chiude la tomba, anche se dopo la chiusura questa lastra di calcare si è rotta e si è infilata nella fossa. 

lo studio dei reperti ossei e l’analisi del DNA ha rivelato che la tomba ospitava il corpo di un ragazzo di circa 30 o 35 anni, in perfetta salute e ben nutrito.

Gli oltre duemila oggetti ritrovati nella tomba sono un vero tesoro: gemme di ambra, ametista, agata e vetro, insieme a una collana d’oro e cinquanta sigilli di pietra sono solo alcuni degli elementi che compongono questo straordinario repertorio.

Oggetti in avorio intarsiato, come pettini e coperchi di pisside, un grifone inciso su una placca, molte armi, uno scettro con testa a forma di toro, fibre di tessuti e molto altro dimostrano poi l’abilità artistica degli artigiani locali conferendo eccezionalità alla tomba. 

La datazione, compresa tra il 1675 e il 1650 a.C., pone questo sito in un periodo molto interessante della storia antica.

Va notato che, nonostante l’origine minoica di alcuni elementi, come dimostrato dalla presenza di ceramiche, il contributo culturale degli oggetti nella formazione della cultura locale è significativo.

Il dettagliato lavoro dell’archeologo Jack Davis negli anni 2000 ha evidenziato la presenza di ceramiche con elementi minoici già dal 1900 a.C.

In aggiunta, ricerche recenti hanno confermato che, nello studio delle antiche strutture antecedenti la costruzione del palazzo di Nestore, venivano impiegate le medesime tecniche costruttive utilizzate per l’acropoli di Pilo, la quale mostra influenze dalla cultura minoica.

Prima di addentrarci nella storia del sigillo d’Agata ritrovato nella tomba del Guerriero, concedimi di presentarti quattro anelli sigillo dorati straordinari che sono stati ritrovati all’interno della medesima tomba. Alcuni di essi, se hai letto la storia del palazzo di Cnosso, ti potrebbero risultare familiari. 

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Anello 1

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Il primo anello è un capolavoro artistico. La particolarità di questo anello sta nella raffigurazione di una scena di acrobazia: un uomo sembra atterrare da un audace salto sul dorso di un toro.

La figura umana, con le braccia distese in un gesto eloquente, sembra fluttuare sopra il toro, catturando il momento preciso in cui l’uomo di profilo, continua a guardare il toro creando una connessione tra i due protagonisti della scena.

L’attenzione ai dettagli anatomici del toro, come i genitali, la coda dritta e le corna, rivela una cura straordinaria nella rappresentazione realistica.

La cintura legata alla vita, con una parte terminale sospesa, aggiunge dinamicità all’azione. La capigliatura folta dell’uomo enfatizza ulteriormente il senso di movimento. 

Questo anello, con le sue similitudini con l’arte di Creta nella sua fase minoica costituisce un ponte tra il mondo miceneo e quello minoico. 

Anello 2 

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Il secondo anello presenta forme simili al precedente ma si distingue per la raffinatezza e la complessità della scena raffigurata sulla sua superficie.

La scena principale è suddivisa in due parti: cinque figure femminili circondano un sacello situato su un’insenatura che si apre su un paesaggio marino.

L’immagine del mare emerge attraverso un motivo reticolato con elementi a tre punte, che evoca la presenza di scogli.

Le donne, con gonne a balze, sciarpe e ghirlande, guardano verso il sacello, mentre il secondo personaggio da destra con un corsetto elaborato è il protagonista della vicenda.

Anello 3

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Il terzo anello si presenta con una figura femminile che tiene un bastone terminante con le corna di un toro. La donna, con una gonna divisa in due parti e una doppia cintura, è raffigurata in modo originale, come se stesse fluttuando sopra il terreno.

Gli uccelli ai lati, con le ali chiuse, sembrano posarsi su ciò che sembrano essere cucuzzoli o formazioni rocciose. 

La postura della donna suggerisce una connessione divina, mentre la presenza degli uccelli, nello specifico grifoni, indica un legame profondo tra la figura divina e la natura.

La scena sembra rappresentare un luogo di convergenza tra il cielo e la terra, un luogo sacro dove la divinità e la natura si incontrano.

Questo anello, che presenta numerosi elementi minoici, è un chiaro simbolo di potere e di connessione con la terra.

Anello 4 

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Infine, l’ultimo anello, in perfetta continuità con i precedenti, rivela una connessione stilistica con l’arte cretese.

La figura femminile, avvolta in un corpetto a maniche corte, è seduta su uno sgabello decorato e tiene in mano uno specchio, simile nella forma a quello ritrovato nella tomba.  

Accanto a lei, un grifone si adagia sulla spalliera dello sgabello, avvalorando la sua natura divina. Un altro personaggio si avvicina alla dea, portando un oggetto misterioso, forse un corno di toro. Siamo di fronte ad un rituale di offerta alla dea. 

Questi quattro anelli sigillo in oro che ti ho mostrato sono oggetti straordinari e rari nell’area dell’Egeo.

La loro deposizione nella Griffin Warrior sottolinea lo status eccezionale del defunto e la volontà di comunicare questa eccezionalità alla comunità.

Questi anelli non erano semplici oggetti amministrativi e dunque utilizzati come sigilli, ma, al contrario, avevano il compito di veicolare un messaggio di prestigio nella comunità.

L’iconografia degli anelli riflette una consapevolezza della connotazione rituale degli oggetti e delle credenze della cultura minoica che si fusero con la Grecia continentale durante lo sviluppo della cultura micenea. 

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E finalmente arriviamo a parlare del nostro bellissimo sigillo di agata. Ma cosa è esattamente l’agata?

L’agata è una varietà microcristallina di quarzo, appartenente alla famiglia dei calcedoni. Si tratta di una pietra semipreziosa che si forma nelle cavità rocciose attraverso il deposito di strati successivi di minerali di quarzo.  

La caratteristica distintiva dell’agata è la presenza di striature di diversi colori e tonalità che possono variare ampiamente e includono sfumature di marrone, grigio, bianco, rosso, verde e blu. 

L’agata ha una lunga storia di utilizzo nella creazione di gioielli, ornamenti e sigilli.

Oltre che per la sua bellezza e colorazione, l’agata è stata apprezzata nel corso del tempo per una presunta valenza metafisica: alcune credenze popolari le conferiscono il potere di portare equilibrio ed energie positive. 

Nella contemporaneità, molte persone credono nelle proprietà metafisiche dell’agata, attribuendo a questa pietra il potere di portare equilibrio ed energie positive nella vita quotidiana.

Nella cristalloterapia, ad esempio, l’agata è spesso impiegata per favorire il benessere emotivo e mentale e viene posizionata su specifici punti del corpo durante una sessione di trattamento o collocata vicino al luogo in cui si riposa per creare un ambiente positivo.

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Il sigillo di agata ritrovato a Pylos è di dimensioni notevolmente ridotte, misurando appena 3,6 centimetri. Ti invito a prendere un righello e verificare personalmente quanto misurino effettivamente 3,6 centimetri! 

E proprio per le sue dimensioni ridotte, questo sigillo si configura come un capolavoro artistico… oserei dire assoluto! 

Ma ora torniamo al sigillo! 

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Il sigillo di agata è un manufatto che funge da testimone prezioso di un’epoca relativamente giovane ma già dotata di livelli estetici e qualitativi eccezionali. 

Durante lo scavo archeologico della Griffin Warrior, l’attenzione degli archeologi è stata prevalentemente rivolta agli anelli d’oro e il sigillo di agata, che si trovava nello stesso contesto, non ha ricevuto subito la stessa considerazione.

Questo atteggiamento derivava dal fatto che gli altri sigilli in oro erano immediatamente riconoscibili come opere d’arte di valore, mentre per apprezzare la bellezza nascosta del sigillo di agata occorreva una maggiore attenzione. 

Il sigillo è stato scoperto dagli archeologi con la faccia rivolta verso il basso nel terreno, rendendo così impossibile l’identificazione immediata di qualsiasi incisione o decorazione; anche quando è stato fotografato sembrava essere privo di qualsiasi decorazione visibile a causa dello strato di calcare.

Solo quando il restauratore Alexandros Zokos ha iniziato a pulire la pietra del sigillo, è emersa finalmente la complessità della sua decorazione.

Il sigillo di agata rivela appieno la sua importanza quando viene confrontato con due celebri sigilli in oro provenienti dalle tombe IV e III del Circolo A di Micene, noti come la “Battle of the Glen” e il “Gold Cushion” scoperti da Heinrich Schilmann.

Sigillo in agata. Griffin Warrior. Pilo

Anello in oro, ”Battle of the Glen” (Micene , Circolo A, Tomba IV)

Sigillo in oro, ”Gold Cushion” (Micene, Circolo A, Tomba III)

Noti subito delle somiglianze?  

Entrambi raffigurano scene di combattimento e il sigillo di agata si inserisce perfettamente in questo contesto iconografico.

Esso mostra un guerriero che attacca da sinistra verso destra, trafiggendo il collo di un altro guerriero difensore con un elmo crestato e uno scudo. 

La posizione e la gestualità sono sorprendentemente simili, indicando chiaramente l’esistenza di un topos iconografico comune, cioè un tema ricorrente, probabilmente estratto da una narrativa più ampia. 

È interessante notare che Schliemann quando scoprì il sigillo della Battle of the Glen e il Gold Cushion associò immediatamente l’iconografia del combattimento e delle scene eroiche ispirate dall’Iliade e dall’Odissea.

La sua convinzione di una grande corrispondenza tra i testi omerici e la realtà archeologica emerge chiaramente nelle sue dichiarazioni: secondo Schliemann la scoperta di questi sigilli rafforzava l’idea che solo un poeta colto in una civiltà capace di produrre oggetti artistici di tale valore avrebbe potuto comporre epopee divine come i due celebri poemi. 

Gli archeologi che hanno scoperto il sigillo di agata sottolineano di non voler suggerire una lettura univoca della scena di combattimento derivata dai poemi omerici, né di voler affermare l’esistenza di un’unica interpretazione corretta.

Preferiscono, infatti, suggerire che gli osservatori contemporanei di fronte al sigillo potrebbero attribuire significati diversi alla scena; ma una cosa è certa: al tempo della sua creazione, tutti coloro che guardavano il sigillo avrebbero riconosciuto elementi eroici familiari nella composizione, simili ad altre scene di combattimento delle prime fasi dell’età del bronzo tardo. 

Cosa rappresenta la scena del sigillo? 

Il sigillo di agata della Griffin Warrior, con la sua composizione particolare e i dettagli minuziosi, si configura come una testimonianza preziosa dell’arte e della cultura guerriera dell’epoca e si apre a un mondo di significati simbolici e pratici che meritano di essere esplorati. 

La scena, come un dramma in tre atti, si svela in tutta la sua complessità. Tre guerrieri, le figure centrali di questa composizione, incarnano rispettivamente i ruoli di attaccante, difensore e soccombente, tracciando una perfetta geometria di forza e tensione che avvolge lo spettatore. 

Questo manufatto va ben oltre la semplice estetica: la minuziosa precisione dei dettagli anatomici, dalla muscolatura dei polpacci alle ginocchia piegate del guerriero caduto, testimonia la maestria dell’artigiano nel riprodurre l’anatomia.

È come se ogni millimetro di questa scena fosse stato concepito con l’obiettivo di catturare la realtà quasi in maniera fotografica, nonostante le inevitabili limitazioni spaziali. 

La disposizione delle figure umane in una forma triangolare non solo conferisce alla composizione un’immediata forza visiva ma sottolinea anche le dinamiche del combattimento.

Le posizioni delle gambe, in particolare, contribuiscono a dar vita a una scena tridimensionale, con il guerriero attaccante che trasmette un senso di potenza e imminente violenza nel suo movimento dall’alto in basso.

Il dettaglio dei capelli del guerriero attaccante è un elemento cruciale, intriso di significati rituali e apotropaici: la chioma, infatti, è il canale attraverso cui il guerriero si connette con le radici simboliche dei suoi antenati o dei valori che sta difendendo, una sorta di preparazione psicologica e spirituale prima del combattimento imminente. 

La presenza della coda, formata da ciocche svolazzanti al vento, aggiunge un ulteriore strato di dinamismo all’immagine.

La mano sinistra del guerriero, che tiene la cresta dell’elmo del suo avversario, è un simbolo di determinazione nel colpire il nemico.

I bracciali al polso, uno dei quali con un sigillo, raccontano brevemente la vestizione del guerriero, sottolineando ancora una volta l’attenzione ai dettagli. 

Le braccia del guerriero, mostrate di profilo, e il torace in visione quasi prospettica, enfatizzano la complessità della rappresentazione, dimostrando la capacità dell’artista di combinare diverse prospettive in un’unica scena su un piano, ricordiamo, di soli 3,6 cm.

L’accuratezza nella rappresentazione delle armi, come la spada e lo scudo, è sorprendente e rimanda ai reperti archeologici che possiamo ancora oggi osservare andando in quasi tutti i musei della Grecia insulare, continentale e in molti altri d’Europa. 

Infine, l’espressione drammatica del guerriero soccombente, il suo corpo senza vita rappresentato con straordinaria precisione, ci fa riflettere sull’esito del combattimento e sulla fragilità dell’esistenza umana.

Quest’opera è più di una semplice rappresentazione visiva, è un frame sulla cultura e sulla vita di un’epoca antica, una testimonianza visiva che ci parla tanto di un mondo lontano quanto della nostra contemporaneità.  

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