Il teatro greco
Il teatro greco ha una storia lunga e diversificata che attraversa i secoli. Durante il V secolo a.C., rappresentava un connubio unico tra la parola scritta, la musica, la danza e la regia. I tragediografi dell’epoca, tra cui Eschilo, Sofocle ed Euripide, non erano semplici letterati, ma uomini di teatro a tutto tondo: la loro opera non si limitava alla composizione testuale, ma comprendeva anche la composizione di musica per il coro e gli attori, la direzione della coreografia e l’organizzazione della messa in scena nel teatro di Dioniso ad Atene.
Si data al VI secolo a.C. l’inserimento del teatro come parte delle celebrazioni delle Dionisie, feste volte a omaggiare il dio Dioniso. Questo dio, nato da una mortale tebana e da Zeus, era considerato eccezionale per le sue caratteristiche uniche, un essere divino che simbolizzava sia la vita che la morte, la gioia e la follia, la celebrazione e la distruzione. Nella psicologia junghiana, infatti, la dualità di Dioniso riflette ancora la complessità della psiche umana e della vita stessa.
Questo dio non si limita a rappresentare solo l’aspetto positivo o negativo, ma abbraccia entrambi gli estremi: creazione e distruzione insieme. Un esempio contemporaneo di questa dualità potrebbe essere incarnato da Kanye West che, da un lato, è considerato un innovatore creativo e un attivista per la giustizia sociale; dall’altro lato, però, le sue azioni e dichiarazioni pubbliche possono essere controverse, portando a una percezione di instabilità o contraddizione.
Il legame del teatro greco con il dio Dioniso potrebbe suggerire che tutti i temi ruotassero attorno a lui, ma non è così. Le tragedie greche esploravano argomenti vari e universali come la condizione umana, la morale, la politica e le relazioni.
La tragedia di cui ti parlo oggi riguarda però proprio lui, che, insieme alle sue fedeli Baccanti, decide di fare ritorno nella sua città natale, Tebe. Questa scelta è motivata da una grave umiliazione inflitta al dio: le sorelle di Semele, madre di Dioniso, avevano diffuso pettegolezzi per cui Dioniso fosse solo un comune mortale, e di conseguenza Penteo, nipote di Semele e re di Tebe rifiuta di riconoscerlo come divinità negandogli onori, preghiere, sacrifici e la costruzione di templi.
Deciso dunque a far valere il suo status divino, Dioniso torna a Tebe insieme alle sue seguaci, le Baccanti, per vendicarsi sulla famiglia reale e i tebani. La vendetta, però, non si manifesta attraverso grandi spargimenti di sangue ma con pesanti giochi psicologici: Dioniso si serve della manipolazione e del suo magnetismo per instillare paura e giocare con le menti delle persone.
Il primo ad introdurre il piano psicologico dei personaggi sulla scena teatrale fu Euripide, uno dei più famosi drammaturghi greci, che prendendo le distanze dal lavoro dei suoi colleghi Eschilo e Sofocle, più fedeli alla tradizione, offrì al pubblico una molteplicità di interpretazioni della storia, oltre a una prospettiva innovativa sul ruolo della religione nella società. Tuttavia, le rivoluzioni richiedono tempo per essere comprese appieno, e quindi Euripide non godette di grande successo durante la sua carriera, un destino condiviso con figure come Emily Dickinson, Vincent Van Gogh, Eva Cassidy, Luigi Tenco e molti altri.
La tragedia “Le Baccanti” andrà in scena nel teatro di Dioniso ad Atene solo dopo la morte di Euripide e, in onore del poeta, sarà eretto un monumento dedicato ai coreghi che avevano finanziato la produzione della tragedia. I coreghi, infatti, ricoprivano il ruolo di sponsor degli spettacoli. Il monumento, simile a un piccolo tempio, fu forse costruito lungo la via dei Tripodi, nei pressi del teatro di Dioniso Eleutereo ad Atene, ed era decorato con scene di Baccanti in movimento realizzate da Callimaco, un rinomato architetto, scultore e abile artigiano del tempo, insieme ai suoi apprendisti.
La precisione con cui Callimaco riusciva a rappresentare dettagliatamente le figure lo elevò a modello artistico ammirato e replicato per numerosi secoli, anche i Romani, in particolare, ne apprezzarono la straordinaria bellezza e suggestione. La sua crescente popolarità nella società romana fece sì che le sue opere diventassero un tema ricorrente nell’arte neoattica, e di conseguenza, repliche delle sue opere possono ancora essere osservate a Firenze e a Roma.
In un pannello conservato ai Musei Capitolini, ci sono tre Baccanti immerse nel fervore dionisiaco. Queste seguaci di Dioniso, rappresentanti dell’irrazionale umano, sono raffigurate nel momento successivo al sacrificio, in cui gli iniziati possono unirsi al dio bevendo il sangue delle vittime, mentre si abbandonano a una danza orgiastica tenendo in mano parti degli animali sacrificati.
Non possiamo affermare con sicurezza (e forse non potremo mai farlo) da dove Callimaco trasse ispirazione per creare quelle Baccanti, se da sculture o dipinti precedenti, integrandovi le sue innovazioni, o direttamente dalla rappresentazione teatrale stessa. Forse entrambe le fonti hanno contribuito alla sua ispirazione. Anzi, è probabile che sia stato così.
Mi piace pensare che Callimaco fosse seduto tra gli spalti del teatro di Dioniso ad Atene in quel giorno di aprile, insieme agli altri cittadini ateniesi, attento durante la visione della tragedia di Euripide che ha rivoluzionato la rappresentazione delle emozioni, degli stati d’animo estremi e della follia.
Callimaco, essendo un innovatore egli stesso, probabilmente apprezzò molto le innovazioni presentate da Euripide ne “Le Baccanti”. Durante lo spettacolo, è presumibile che Callimaco si sia sentito in sintonia con la sua arte, condividendo il desiderio innovativo dell’autore. È plausibile, dunque, che durante la visione, l’artista abbia sperimentato una gamma di emozioni simili a quelle riflesse nell’opera che avrebbe presto creato per il monumento dei coreghi.
Mi immagino Callimaco seduto nella cavea del teatro, affascinato e commosso dalla profondità della vicenda dello spaventoso dio Dioniso e della distruzione psicologica del re Penteo. È del tutto probabile che la visione della tragedia abbia ispirato la creazione delle “sue” Baccanti, con le lunghe gonne che si agitavano freneticamente durante la danza e forse mosse anche dal vento che potrebbe aver soffiato in quel giorno di aprile del 406 a.C. nella splendida cornice del teatro di Dioniso Eleutereo ad Atene.
EURIPIDE
Euripide nasce a Salamina nel 485 a.C. e fu un rivoluzionario drammaturgo del teatro greco antico. Nonostante la sua vita segnata dall’impopolarità e dalle critiche, le sue opere hanno lasciato un’impronta indelebile sulla storia del teatro, continuando a offrire preziosi insegnamenti anche nella contemporaneità.
Euripide si distinse per la sua audace tendenza a sfidare le tradizioni, le convenzioni e i valori culturali e religiosi del suo tempo. Attraverso le sue opere, egli mise in discussione le rappresentazioni degli dèi e dei miti greci, esplorando temi e personaggi in modo non convenzionale. La sua critica dei valori tradizionali e la profonda esplorazione della condizione umana attraverso le passioni e la razionalità contribuirono a farne una figura di spicco nella storia del teatro.
Nonostante fosse nato in una famiglia benestante a Salamina, la vita di Euripide fu segnata da avversità. Fu bersaglio di feroci critiche da parte dei commediografi ateniesi e accusato di presunti problemi coniugali. La sua inclinazione a mettere in discussione le tradizioni e le convinzioni più diffuse, unita alla sua propensione per la solitudine, lo resero impopolare tra i concittadini.
Nonostante le difficoltà, la tenacia e la dedizione di Euripide alla sua arte portarono alla vittoria, ma solo dopo oltre un decennio di partecipazione ai concorsi drammatici. Alla fine della sua carriera, Euripide poteva vantare solo quattro successi in vita, con un quinto onore postumo per la trilogia che includeva le rinomate opere “Ifigenia in Aulide” e “Baccanti”.
Verso la fine della sua vita, Euripide decise di abbandonare Atene e trascorse gli ultimi anni componendo opere nella lontana Macedonia, presso la corte del sovrano Archelao. Questo contesto distante dalla vita ateniese modellò la sua sperimentazione artistica e la sua visione drammatica.
La sua morte avvenne tra il 407 e il 406 a.C., pochi mesi dopo aver completato “Baccanti”, messa in scena ad Atene nel 406 o forse nel 403 a.C. La regia fu affidata al figlio o al nipote dello stesso drammaturgo, anch’essi chiamati Euripide. Questa tragedia faceva parte di una trilogia che contribuì a garantire all’autore una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell’anno.
Il giudizio su Euripide, nonostante la sua riconosciuta grandezza, è caratterizzato da critiche e dileggi, preferendo a lui Eschilo non per la superiorità artistica, ma per i valori paideutici, civici e religiosi che le sue tragedie sapevano infondere nel pubblico ateniese.
Tuttavia, le generazioni successive, nel tempo, giudicheranno le opere di Euripide non solo in base ai valori paideutici e religiosi, ma anche considerando la loro qualità intrinseca, la capacità di suscitare emozioni e la loro rilevanza nel contesto teatrale.
Nella “Poetica”, ad esempio, Aristotele dedica scarsi cenni ad Eschilo, pur considerando l’Edipo re di Sofocle come implicito modello della sua “tragedia ideale”. Aristotele non trova difficoltà nel proclamare Euripide come “il più tragico” tra tutti, proprio per la sua straordinaria capacità di toccare le corde emotive degli spettatori.
Questa stessa ragione fa sì che Euripide diventi l’autore più imitato dai tragediografi successivi. Nonostante le critiche del suo tempo e la preferenza data ad altri drammaturghi, la sua influenza duratura dimostra la potenza e la rilevanza delle sue opere nel contesto del teatro e oltre, nelle generazioni a venire.
LE SUE TRAGEDIE
Le tragedie di Euripide, con la loro peculiare impronta realistica, rappresentano un contrasto significativo rispetto alle opere dei suoi predecessori, Eschilo e Sofocle. Mentre questi ultimi dipingevano eroi risoluti e decisi, Euripide si distingue per la sua attenzione a protagonisti problematici e insicuri. Il realismo del drammaturgo emerge attraverso l’analisi approfondita delle dinamiche psicologiche dei personaggi, evidenziando i loro conflitti interiori e le motivazioni inconsce.
Un aspetto distintivo del teatro euripideo è la focalizzazione sulle fasce sociali emarginate, un terreno trascurato dai suoi predecessori. Mentre Eschilo quasi escludeva le donne dalle sue tragedie, è con Euripide che le donne assumono un ruolo centrale, insieme ad altre categorie emarginate come gli stranieri e i servitori, sfidando le convenzioni della tragedia greca.
La drammaturgia di Euripide si configura come un tentativo di rispondere alle sfide culturali e sociali del suo tempo, riflettendo un senso di dubbio e critica contro la tradizione.
Questa critica, guidata da una razionalità inflessibile, mira a delineare la realtà nei rapporti interpersonali, e infatti i protagonisti delle sue opere cercano la loro dignità non in relazione ai voleri divini, bensì nell’affermazione dell’autonomia umana, esplorata attraverso la dialettica delle passioni e della volontà.
Le divinità, invece, diventano simboli di condizionamenti che contrastano la libertà individuale. Il drammaturgo richiama alla realtà e alla ragione, adottando uno stile chiaro e concreto, arricchito da una solida coscienza etica e da una puntuale osservazione dell’esistenza umana.
Di cosa parla la tragedia Baccanti di Euripide?
Le Baccanti di Euripide ci trasportano nell’antica Tebe dove si intrecciano vicende umane e divine. Questa tragedia racconta l’arrivo sconvolgente a Tebe di Dionisio, il dio del vino e dell’estasi, mosso principalmente da due bisogni: dimostrare la sua natura divina e imporre con forza il suo culto a tutti gli abitanti.
Dioniso nutre un profondo risentimento nei confronti della famiglia reale e soprattutto per il re Penteo del quale si lamenta amaramente dicendo “Mi fa guerra, mi allontana dai sacrifici e non si ricorda di me nelle preghiere”.
La laicità di Penteo non è solo un affronto personale per Dioniso, ma rappresenta una vera e propria minaccia per il dominio divino sugli umani. Dioniso è quindi deciso a scatenare il caos e a reclamare la sua giusta parte di devozione da parte degli uomini, insieme alle sue baccanti.
Le baccanti sono le sue più fedeli seguaci, che, come un esercito, accompagnano il dio in questa guerra che si preannuncia più di una semplice lotta di potere tra un re e un dio: è un conflitto cosmico tra la razionalità di Penteo e la forza selvaggia di Dioniso.
Le baccanti, misteriose e selvagge, giungono dal monte Tmolo in Lidia, sono straniere, proprio come Dioniso e portano con sé i segreti del culto. Non conoscono le regole della polis, sono possedute e ferventi adoratrici della Gran Madre Cibele.
Sono famose per le loro danze sfrenate al ritmo di tamburelli, timpani, flauti e cembali, e il loro banchetto prevede il consumo di carne cruda. Molto diverse, dunque, dalle donne tebane educate nella polis con gli istinti accuratamente controllati. Ancora una volta, c’è una contrapposizione tra due mondi molto diversi.
Dioniso, giunto a Tebe mascherato da predicatore, per prima cosa fa impazzire le donne tebane che in preda alla follia dionisiaca salgono sul monte Citerone, insieme al dio e alle sue seguaci.
Nonostante l’apparente idillio del paesaggio agreste, tutto si rivela ben presto essere un ritorno alla bestialità, una condizione che, sebbene velata da canti e danze, suggerisce un lato oscuro e primitivo dell’esistenza umana.
Il monte Citerone, che dovrebbe essere un rifugio sereno, si trasforma così in un luogo intriso di mistero e follia. Le nebridi, le pelli di cerbiatto indossate dalle donne, diventano simbolo di una ritualistica sinistra, mentre il tirso, come uno scettro magico, con la sua presenza imponente, incarna il potere e la volontà di trasformare la realtà.
Ma le donne non sono le uniche protagoniste. Euripide, dopo averci presentato ed esplorato il fascino “barbaro” delle baccanti, introduce due uomini come vittime di questo stesso fascino. Nella storia fanno il loro ingresso due figure mitiche: Tiresia e Cadmo.
Tiresia, figura affascinante e enigmatica, ha sperimentato entrambi i sessi nel corso della sua esistenza, attraversando sette generazioni e portando con sé il dono della visione del futuro a scapito della vista naturale.
Discendente degli Sparti, i valorosi guerrieri nati dai denti del drago ucciso da Cadmo, fondatore di Tebe, Tiresia e Cadmo si ergono come simboli di un passato epico della città.
Nella tragedia, la loro importanza mitica, tuttavia, viene momentaneamente sospesa – ecco la straordinarietà di Euripide – rivelando semplicemente due anziani segnati dal tempo e dalla vita, che, con un rituale bacchico, cercano di riscattarsi e rivivere la giovinezza perduta.
Questi due personaggi nella tragedia intraprendono un viaggio verso il monte Citerone, ma il loro cammino si incrocia con quello di Penteo, il re di Tebe e nemico di Dioniso, di ritorno da una missione.
L’incontro tra i tre è pieno di tensione: nei dialoghi, infatti, i due anziani, dopo aver raccontato al re dell’abbandono dei telai da parte delle donne, fuggite sul Citerone per seguire un predicatore del culto dionisiaco, cercano di far ragionare Penteo sulla necessità di accettare il culto del dio in città, ma per il re, quel predicatore altro non è che un pericolo per la polis e va fermato.
Il secondo episodio della tragedia si apre con l’incontro tra i due protagonisti, Penteo e Dioniso-predicatore: il re fa imprigionare il misterioso straniero del quale ignora la vera natura. Con un atteggiamento sfidante, Penteo esclama: “Io sono più potente di te.” Dopo un acceso dibattito, Dioniso profetizza l’ira imminente della divinità.
Il terzo episodio racconta la dimostrazione della potenza divina che colpisce il palazzo con un terremoto e una scarica di saette. Tuttavia, l’atmosfera è incerta: il palazzo è collassato senza provocare alcuna perdita umana?
L’incendio derivato dalle saette si è estinto spontaneamente o sono state le baccanti a scatenare le fiamme? La linea tra realtà e allucinazione sfuma fino allo svelamento che si è trattato di un inganno: nulla è accaduto al palazzo.
A Penteo tutto sfugge dal suo controllo e Dioniso, stringendo sempre più la morsa sul re, comincia a sottometterlo fino a renderlo succube. Nel frattempo, arriva un messaggero che riporta ciò che ha visto, o forse creduto di vedere: le baccanti tebane danzano tra gli alberi, allattano cuccioli di cerbiatti e lupi, compiendo miracoli.
Il Citerone, un tempo aspro e sassoso, si è trasformato in una terra di abbondanza, con sorgenti di acqua cristallina, vino, latte e miele che sgorgano dal suolo.
Nonostante la manifesta evidenza di questo miracolo, pastori e mandriani, ancora legati all’obbedienza di Penteo, decidono di ignorare la realtà (o forse l’allucinazione), e si organizzano per catturare le baccanti.
Le donne, guidate dalla forza primordiale della Grande Madre Cibele e plasmate dall’energia divina di Dioniso, si trasformano in guerriere impavide. Con furia selvaggia, assaltano le mandrie, sbranano bestie, rapiscono bambini e saccheggiano villaggi. La loro forza è sovrumana, le chiome in fiamme e i tirsi diventano armi temibili.
Nel caos, il dio lo costringe Penteo ad agire contro i propri convincimenti etici e lo persuade a travestirsi da donna per unirsi alle Baccanti: questo è il primo passo verso la distruzione dell’io di Penteo, un inquietante preludio alla sua futura rovina fisica.
Nel capitolo finale, il messaggero riferisce quanto ha osservato sul monte Citerone. Tra le descrizioni di canti e danze frenetiche, emerge un particolare significativo: Penteo, il re di Tebe, si è travestito da donna.
Dopo averlo presentato alle baccanti, Dioniso incita la loro frenesia pronunciando semplicemente: “Vi porto l’uomo che derideva voi, me e i miei riti: puniamolo.”
Da qui si sviluppa una sorta di trance mistica, in cui le donne, ignare dell’identità di Penteo ma guidate da Dioniso, si scagliano contro il re convinte che costituisca una minaccia.
Possedute dall’estasi divina, le donne dilaniano Penteo con le mani nude in una frenesia sanguinaria. Tra loro c’è anche Agave, la madre di Penteo che, credendo di affrontare una bestia, contribuisce all’uccisione del figlio.
Dioniso, il dio vendicatore, scompare poco prima della fine e senza la presenza divina l’atmosfera cambia. Il coro manifesta compassione per la sfortunata Agave.
La tragedia raggiunge l’apice quando Agave, la madre di Penteo, comprende la devastazione causata da Dioniso e ricompone le spoglie del figlio. La famiglia di Cadmo è irrimediabilmente distrutta, privata di figli e nipoti maschi.
In fine, Dioniso, avvolto nella sua veste divina, guidando una maestosa processione, entra in scena e mette sul trono della città un uomo devoto e timorato degli dèi, ma capace anche di commettere crimini e sopraffazioni in difesa della religione.
La tragedia di Euripide è stata portata in scena nel 2021 a Siracusa. Ti lascio qui il link.
Sembra proprio un’opera religiosa, non è vero?
Nel corso del tempo, la tragedia di Euripide ha suscitato diverse interpretazioni. Inizialmente considerata un’opera profondamente religiosa, ha rivelato ambiguità che alimentano dibattiti tra gli studiosi. Da un lato, l’opera sembra trasmettere un monito sulla venerazione degli dèi, evidenziando la spietatezza di Dioniso verso coloro che non credono in lui.
Tuttavia, le azioni del dio, come l’eliminazione dei suoi parenti e l’esilio dei sopravvissuti, suggeriscono una divinità vendicativa, caratteristica propriamente umana, anziché benevola.
La condotta delle Baccanti, orientate più verso la violenza che verso la celebrazione rituale, mette in dubbio la natura puramente religiosa dell’opera. L’abbandono da parte di Agave dei simboli di Dioniso, desiderando di non rivivere mai più l’esperienza, aggiunge ulteriori sfumature di ambiguità.
Euripide è sempre stato considerato un laico, se non addirittura un ateo, ma nell’ultima delle sue opere, “Le Baccanti”, il poeta esorta gli uomini a venerare sempre gli dèi e non a mettersi contro di essi.
Questo cambiamento di tono alla fine della sua vita ha fatto pensare agli studiosi che “Le Baccanti” fosse un’opera propriamente religiosa. Tuttavia, considerando che Euripide ha messo in evidenza gli aspetti più negativi del dionisismo, alcuni studiosi interpretano l’opera non come una riscoperta tardiva della religione da parte del poeta, piuttosto come una forte invettiva antireligiosa.
La critica di Cadmo a Dioniso ne è un esempio eloquente. Cadmo esprime la sua disapprovazione, sottolineando che, sebbene sia giusto che il dio abbia punito coloro colpevoli di hybris, cioè di arroganza verso la divinità, Dioniso sarebbe andato troppo oltre.
Cadmo argomenta che la vendetta spietata, tipica degli uomini, non dovrebbe essere un comportamento attribuibile agli dèi. Dioniso, secondo Cadmo, avrebbe dovuto mantenere una distinzione tra il giusto castigo e l’eccessiva vendetta umana.
Euripide, nelle sue tragedie, intende affrontare i problemi dell’uomo esclusivamente in termini terreni, ma, essendo la tragedia una rappresentazione religiosa, non può evitare di coinvolgere gli dèi. Nelle sue opere, gli dèi sono indifferenti alle sofferenze degli uomini, chiusi in un’ottusità nutrita di discordie, gelosie e brama di vendetta, assenti dal punto di vista religioso come garanti della giustizia e dei valori umani.
L’uomo è, in un certo senso, abbandonato dagli dèi; quindi, deve cercare risposte dentro di sé e comprendere che solo nell’accettazione della propria umanità risiede la sua forza e grandezza.
Verso la fine dell’opera, Cadmo critica fortemente Dioniso, affermando “non è bene che gli dèi rivaleggino nell’ira con gli uomini”, e Dioniso si limita a ribattere che questa è da sempre la volontà di Zeus, scaricando la responsabilità al Dio supremo.
Come hanno reagito i cittadini ateniesi alla vista di questa storia?
I cittadini ateniesi, riuniti al teatro di Dioniso per assistere alla tragedia di Euripide, probabilmente hanno vissuto una molteplicità di emozioni contrastanti. All’inizio, potrebbero aver sperimentato una sensazione di disagio e confusione a causa delle molteplici ambiguità presenti nell’opera, sfidante nelle sue interpretazioni convenzionali della religiosità.
La rappresentazione di Dioniso come una divinità vendicativa anziché benevola potrebbe aver generato inquietudine tra gli spettatori, specialmente considerando la tradizionale venerazione nei confronti degli dèi. L’orientamento delle Baccanti verso la violenza, anziché la celebrazione rituale, insieme all’abbandono dei simboli di Dioniso da parte di Agave, potrebbe aver suscitato preoccupazione riguardo alla natura del culto dionisiaco e alla sua connessione con la condotta umana.
La critica di Cadmo a Dioniso, evidenziando la spietatezza della vendetta divina e la mancanza di distinzione tra giusto castigo ed eccessiva vendetta umana, potrebbe aver stimolato una riflessione critica tra gli spettatori, portandoli a mettere in discussione la concezione tradizionale degli dèi come figure giuste e sagge.
Infine, la constatazione che gli dèi, nelle opere di Euripide, sembrano indifferenti alle sofferenze umane e assenti come garanti della giustizia, potrebbe aver provocato un senso di smarrimento e disillusione riguardo alle concezioni tradizionali della divinità.
I cittadini di Atene potrebbero aver reagito alla tragedia di Euripide con una miscela di sorpresa, confusione, inquietudine e riflessione critica, affrontando la sfida di conciliare le nuove interpretazioni dell’opera con le loro concezioni preesistenti sulla religiosità e sugli dèi.
Considerando la complessità e le ambiguità presenti nella tragedia di Euripide, è plausibile ipotizzare che la reazione del pubblico ateniese sia stata variegata e coinvolgente. Durante la rappresentazione, alcuni spettatori potrebbero aver reagito in modo viscerale, esprimendo le proprie emozioni in modo rumoroso, con grida o esclamazioni di disapprovazione o di approvazione.
Allo stesso tempo, è plausibile che altri spettatori abbiano apprezzato la complessità dell’opera e la sfida intellettuale proposta dalle interpretazioni ambigue e dalle critiche rivolte agli dèi.
Coloro che hanno accolto favorevolmente la capacità di Euripide di mettere in discussione le convenzioni religiose e di esplorare la complessità delle relazioni tra gli dèi e gli esseri umani potrebbero aver goduto dell’opera come di un’esperienza intellettualmente stimolante.
In questo contesto, l’atmosfera nel teatro potrebbe essere stata carica di tensione, con divergenze di opinione che si manifestavano in modo vocale. Mentre alcuni potevano esprimere il loro dissenso con forza, altri avrebbero potuto applaudire la capacità del drammaturgo di sfidare le convenzioni e stimolare la riflessione critica.
FINE I PARTE
Ottieni LA SECONDA PARTE
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⬇️ Nella prossima sezione:
🎭 Il teatro di Dioniso ad Atene
🎶 La musica e la danza
👥 Gli ateniesi a teatro
🏛️ Teatro come luogo di celebrazione della democrazia
🗣️ La dimensione politica della tragedia greca
👥 Cultura del pubblico ateniese e l’interazione del pubblico con gli attori e gli autori
🌐 Il teatro come riflesso delle classi sociali, spazio di espressione e divertimento collettivo
👫 La partecipazione dei giovani e delle donne
📖 Esperienza di Viaggio IterPopuli
🏛️ Informazioni pratiche sul teatro di Dioniso di Atene
Testo di Barbara Caltabiano
Editing di Mirco Porzi
Immagini da Wikimedia Commons